Una vittoria netta
Che Andrés Manuel López Obrador, conosciuto con la sigla Amlo, fosse favorito di queste elezioni era chiaro ormai a tutti. Ma che potesse vincere ed addirittura trionfare con 30 punti di vantaggio sul suo avversario diretto, era più difficile aspettarselo. Pancho Villa diceva spesso che in Messico le cose non succedono finché… succedono. E Amlo è diventato presidente col 53% dei voti e conquistando ben 31 dei 32 stati della federazione messicana, tra i quali il Distretto federale, la megalopoli capitale del Paese con circa 20 milioni di abitanti, dove per la prima volta nella storia sarà sindaco una donna. E c’è di più: in 13 stati, López Obrador vince con più del 60% dei voti e in quello di Tabasco, da dove è originario, ha sfiorato l’80%.
Dunque una vittoria nettissima quella del partito da lui fondato su misura, il Morena, al quale si sono alleati gruppi sociali e di sinistra, settore ideologico dal quale proviene il neoeletto presidente, ma anche un fallimento totale del partito di governo, il Pri, che raccoglie una votazione appena superiore al 15% dopo sei anni di gestione abbastanza insipida di Enrique Peña Nieto, mentre più a destra il Pan arriva fino al 22%. Il Morena, pertanto, godrà di una maggioranza propria sia alla Camera che al Senato.
È la terza volta che Amlo è sceso in lizza, a 64 anni, per disputare la presidenza. Sei anni fa perse per un lieve margine di voti ed, anzi, sostenne di essere stato derubato. Nel passato ha suscitato molti timori per le sue posizioni di sinistra. In questa campagna è riuscito a limare gli spigoli, al limite dell’ambiguità. Lo ha fatto anche con l’aiuto di industriali a lui vicini, formatisi in ambienti conservatori, che hanno calmato il nervosismo dei mercati. La sua innegabile capacità di leader ha generato forse più speranze che fiducia in un Paese nel quale tutti sono oggi convinti della necessità di un cambiamento sostanziale, per uscire dalla sensazione di una nave ormai ingovernabile.
E qui appaiono le vere e proprie emergenze dell’agenda del nuovo presidente. Prima di tutto, il Messico è in una situazione di emergenza umanitaria generata da una violenza dilagante. Solo durante questa lunghissima campagna elettorale, 131 candidati locali sono stati assassinati, le aggressioni sono state quasi 600, tra queste anche sequestri. Decine di persone, familiari di candidati sono rimaste ferite. Una decina di giornalisti hanno poi perso la vita nell’ultimo anno oltre a varie decine di migliaia di cittadini. La violenza delle organizzazioni criminali non ha limiti anche perché l’impunità è a livelli altissimi. Appena il 2-3% dei 27.000 casi annuali di assassini arrivano a una sentenza e meno del 10% dei delitti sono investigati. Non a caso López Obrador ha centrato la sua campagna elettorale sulla lotta frontale alla corruzione. Questo tumore ha invaso sia la politica che lo Stato sia a livello centrale che locale. Le autorità di Peña Nieto fanno fatica ad ammettere la presenza di “desaparecidos”, che per loro sono 28.000 ma per le ong che intervengono nel Paese, sarebbero circa 50.000. A questi fenomeni bisogna aggiungere che da Sud a nord, fino alla molto estesa frontiera con gli Stati Uniti, decine di migliaia di persone, soprattutto centroamericani, cercano di entrare illegalmente in territorio statunitense. Una buona parte proviene dal triangolo Nord, il più violento del mondo, composto da Honduras, El Salvador e Guatemala. Le famiglie sono spinte all’esodo dalla violenza delle bande armate (maras) che infesta città e zone rurali. Gruppi criminali si dedicano a questo commercio della disperazione e non è raro che gruppi di illegali dopo essere stati derubati vengano abbandonati nel deserto, dove muoiono di stenti. È questo uno dei grandi temi che il nuovo presidente dovrà discutere con un vicino difficile, il presidente Donald Trump, critico anche del trattato di libero commercio vigente tra i due Paesi ed il Canada.
Sebbene in questi anni la povertà è cresciuta ed ormai più della metà della popolazione (120 milioni di abitanti) vive al di sotto di questa soglia, è pur vero che il Messico è una economia con un potenziale enorme. È la seconda economia dell’America Latina, dopo il Brasile, ed è tra le prime 12 a livello mondiale. Il Messico è ricco in risorse, tra le quali il petrolio. Possiede una grandissima attrattiva turistica e culturale, con decine di popoli indigeni che conservano lingue e tradizioni e una delle cucine più chic della regione.
La legge stabilisce, dopo una lunghissima campagna elettorale, una lunga transizione. Il nuovo presidente comincerà il suo mandato il 1° dicembre. Avrà ad ogni modo tempo per preparare il suo esecutivo e stabilire le linee direttive della sua azione e per mettere in pratica il suo appello alla riconciliazione rivolto a tutti i settori. Un appello necessario per prendere in mano le redini di un Paese piagato dal dolore e dalla ingiustizia.