Una visita speciale alla Cappella degli Scrovegni
Il 25 marzo uno straordinario effetto di luce, un raggio di sole, verso le 10 del mattino, entra dalla prima finestra laterale, la più vicina alla controfacciata, dall’apertura a forma di stella della cornice di pietra, illumina gli eletti rappresentati nel Giudizio Universale, indica la mano sinistra di Enrico Scrovegni in ginocchio mentre implora il perdono alla Vergine della Carità dell’Arena e le offre il modellino della cappella.
A Maria, mediatrice dell’Incarnazione e della salvezza, Giotto dedica il ciclo più esteso di tutta la pittura murale italiana, settecento metri quadrati di mistero, bellezza, splendore, silenzio.
L’epigrafe latina, posta sul sepolcro di Enrico Scrovegni, sottolinea che un luogo pagano fu redento dalla Madonna. Enrico Scrovegni, parte della congregazione dei Frates Gaudentes, devoti a Maria, –miles honestus -, cavaliere onesto -, convertì i loca plena malis – l’arena pagana delle lotte tra gladiatori – in res honesta.
Attraverso la luce, i colori, i contenuti evangelici, Giotto costringe al silenzio, lascia spazio alla visione, all’ascolto di un messaggio profondo, in quanto universale, iscritto nel mistero mariano.
“Dipingendo si può far teologia per i fedeli – osserva mons. Claudio Bellinati -, e non semplice pittura, si può comporre un inno d’amore alla Vergine Maria. Ecco perché chiamiamo quest’arte vera e propria Teologia della Bellezza che s’imprime nei nostri occhi, ma anche nei nostri cuori".
Contemplare le scene della vita di Maria e di Gesù, illustrate dalla sensibilità musicale di Giotto, è già un’esperienza spirituale, una visione che quasi vuole “domandare alla Madonna il perdono delle nostre colpe" – commenta mons. Bellinati. Mentre noi ci lasciamo prendere dalla bellezza della cappella, la bellezza non è altro che avvicinarci a Maria che è Bellezza”
“Nulla può sostituire l’impressione che suscita una visita diretta alla Cappella degli Scrovegni, lo sbalordimento e l’emozione" – scrive la prof. Chiara Frugoni nella premessa a “Gli affreschi della Cappella Scrovegni a Padova”- . Qell’“aura primaverile” di commovente bellezza – osserva mons. Claudio Bellinati – che rimanda al significato del mistero dell’ Annunciazione, alla sua data del 25 marzo.
Capolavoro assoluto, straordinaria Biblia pauperum dove il divino scende sino all’umano, l’incarnarsi di Dio fonda la possibilità dell’uomo di elevarsi sino a lui.
Giotto, seguendo la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze e una scelta oculata dei Vangeli Apocrifi (vangeli che la chiesa ha accolto anche se non sono stati ispirati da Dio), illustra le vite di Maria e di Gesù, per preparare il visitatore alla scelta tra i sette Vizi e le sette Virtù , prima di giungere alla rappresentazione del Giudizio Universale, al di sotto della luce della grande trifora, che “trasforma la luce del giorno in luce divina".
La visita a Cappella Scrovegni non è dunque un’esperienza museale, ma un’esperienza d’amore rivolto alla Vergine Maria e quindi un’esperienza di purificazione.
Bisogna amare, lasciarsi condurre dai passaggi di Dio, varcare l’entrata della cappella commossi dal candore e dallo stupore proprio dei piccoli.
Enrico Scrovegni, committente, consapevole del disprezzo di Dante per suo padre Rainaldo, tanto da porlo, nel XVII Canto dell’Inferno, tra gli usurai, mosso dalla volontà di porre rimedio al male, fa dedicare solennemente la cappella alla Mater Dei, costruendola a sue spese perché potesse espiare il peccato di famiglia e sperare, come ricompensa, nel perdono e nella grazia eterna, facendo dono alla città di Padova della consacrazione della cappella e dell’indulgenza particolare per chiunque avesse visitato la chiesa della Beata Maria Vergine della Carità dell’Arena nei giorni mariani.
Giotto inizia a dipingere avendo presente l’ Annunciazione, la bellezza primaverile, la giubilare memoria di Bonifacio VIII del 1300, l’indulgenza di Benedetto XI del 1304, la misericordia del Papa.