Una via regale

Articolo

Santità personale e spirito di comunione, questi i due ambiti che papa Giovanni Paolo II ha indicati come prioritari nella programmazione pastorale della Chiesa all’inizio del nuovo millennio. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria (che è la santità) (Nmi 31). E ancora: È un impegno che non riguarda solo alcuni cristiani: Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità (Nmi 30). Il teologo Hans Urs von Balthasar era convinto che il vero segreto del rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II risiedeva nella realizzazione di questa vocazione universale alla santità; ma egli aveva pure l’impressione che su questo punto il messaggio del Concilio non era stato recepito in tutta la sua profondità (1). Una santità di massa La Scrittura ci dice che se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi (1Gv 4, 12). La santità cristiana, che si identifica con l’unione a Cristo e si manifesta nella perfezione della carità, è dunque comunitaria nella sua essenza. È, ad immagine del Dio tre volte santo, una e plurale. La spiritualità di comunione – di cui abbiamo parlato in un precedente articolo – è una via regale per metterla alla portata di tutti, per democratizzarla. Non si tratta certo della santità delle estasi o dei miracoli, ma dell’autentica unione con Dio che si riflette in una pienezza di umanità e soprattutto in qualità d’amore. Guarda come si amano e l’uno per l’altro è pronto a morire (2), esclamavano i pagani alla vista dei primi cristiani, così dovrebbe essere anche oggi. È questa la testimonianza che la gente, molta gente aspetta dalle comunità cristiane. Paolo e Manuel, carissimi amici, avevano sentito una chiamata di Dio, all’inizio degli anni Ottanta. Per diversi anni non si erano neppure rivisti, abitando in Paesi distanti. Poi si ritrovarono, una sera, e si erano messi a raccontarsi le numerose, belle e a volte anche difficili esperienze capitate loro in quelli anni. Pur essendo in pizzeria, si sentivano in un’altra dimensione, presi com’erano dalla gioia della comunione e dalla presenza di Gesù fra di loro. Quale non fu la loro sorpresa quando, sul volgere della serata, due signore che mangiavano ad un tavolo vicino al loro si avvicinarono e, dopo un attimo di esitazione, chiesero loro se… erano cristiani. Era l’impressione che avevano provato sentendoli parlare… Il Concilio l’ha proclamato con forza: la comunione nell’amore è l’essenza della vita della Chiesa (3). Se i cristiani riescono a dimostrarla con i fatti, molti trovano la via che conduce a quella felicità piena, costante e tersa che dona il Vangelo vissuto in unità. Per arrivare a ciò, prima di programmare delle iniziative concrete, bisogna promuovere a tutti i livelli della Chiesa un vero spirito di comunione. Nella sua lettera apostolica all’alba del terzo millennio, Giovanni Paolo II se ne è fatto l’araldo. Ma, ben prima del Concilio, lo Spirito Santo aveva già dato alla Chiesa, nella persona di Chiara Lubich, una comprensione del Vangelo ad hoc: la spiritualità dell’unità. Rivolgendosi ad un gruppo di vescovi amici dei Focolari, Giovanni Paolo II l’aveva riconosciuto: La spiritualità di comunione si articola in diversi elementi, che affondano le proprie radici nel Vangelo, e risultano arricchiti dal contributo che all’intera comunità cristiana offre il Movimento dei focolari, impegnato a testimoniare la spiritualità dell’unità (4). Il primato dell’amore Soprattutto conservate tra voi una grande carità (1 Pt 4, 8). Questo monito dell’apostolo Pietro è uno dei primi comportamenti che insegna la spiritualità dell’unità. Si tratta di dare effettivamente, nella piccola o grande comunità cristiana nella quale siamo inseriti (fami- glia, parrocchia, comunità religiosa, movimento…) la priorità all’amore e alla comunione con gli altri. Sin dall’inizio del loro cammino comunitario al seguito di Cristo, Chiara Lubich e le sue prime compagne sperimentarono con forza il beneficio di un tale comportamento. Infatti, quando dei cristiani si uniscono veramente nella mutua e continua carità che Cristo comanda, egli stesso si rende spiritualmente presente in mezzo a loro e la sua presenza li guida, li trasforma e feconda ogni loro attività. Diverse lettere dei primi tempi dei Focolari rendono testimonianza di questa sconvolgente esperienza (cf riquadro Prima di tutto siano uno). Partecipare alla vita trinitaria Il carisma di Chiara Lubich insegna ai cristiani a vivere in modo tale che Cristo possa essere sempre e ovunque presente in mezzo a loro, anche in ufficio, anche al bar, anche in palestra. La sua spiritualità è comunitaria: richiede la presenza dell’altro, tende alla reciprocità nell’amore (cf riquadro La presenza di Cristo). In essa non basta amare, bisogna ancora essere amato. Creati ad immagine di Dio, che è uno in tre persone, siamo fatti per l’amore che va e che viene, l’amore vicendevole. In questo senso l’amore puro, gratuito, unidirezionale non è ancora, per Chiara Lubich, il culmine dell’amore cristiano. L’amore disinteressato è la scala che conduce alla perfezione. Essa risiede nell’unità conseguente alla reciprocità: Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola (Gv 17, 21) (cf riquadro La comunione dell’amore). La santità quotidiana, popolare, comune invocata dal Concilio potrà diventare più facilmente realtà nella misura in cui si diffonderà tra tutti i cristiani la vita e la prassi dell’unità, quell’unità che nella fede cristiana è sempre trinitaria, comunione. Il carisma di Chiara Lubich può essere paragonato ad una iniezione di vita divina nel Corpo mistico di Cristo. Un religioso me lo descriveva sotto i tratti di un rivo d’acqua fresca che, passando nel giardino della Chiesa, fa sbocciare tutti i fiori che incontra. Questo dono di Dio consente di trovare nella presenza del Risorto in mezzo ai cristiani quel supplemento di luce, di vita e di grazia di cui tutti hanno bisogno. Con lui in mezzo si diventa più facilmente e più pienamente Cristo, santo, la dove si è, ovunque, anche in parlamento. L’allora arcivescovo di Trento, mons. De Ferrari, l’aveva afferrato sin dagli inizi dei Focolari. La prima volta che Chiara Lubich gli aveva raccontato la sua storia, egli aveva concluso non senza umorismo: Ho capito: il macellaio rimane macellaio, il boia rimane boia, il vescovo rimane vescovo. Ciò che cambia è il come, è l’amore. È innanzitutto testimoniando la bellezza di una vita fondata sul mutuo amore e richiamando con i fatti ad esso che i focolarini si propongono di dissetare la sete di comunione che attanaglia molti nostri contemporanei. PRIMA DI TUTTO SIANO UNO Estratto da una lettera del 27 dicembre 1948 scritta da Chiara Lubich a padre Bonaventura da Malé, cappuccino, che aveva stabilito un rapporto di amore scambievole stabile con alcuni confratelli. Che gioia che Gesù, unico nostro Tesoro, unica Sapienza, unica Gioia, unica Fonte di Vita (di quella Vita che piace a noi!) è fra loro, come è fra noi! Adesso non manca loro nulla (…)! Quindi: ante omnia (anche se in quest’ omnia ci fossero le cose più belle, le più sacre: come la preghiera, come il celebrare la santa messa, ecc.) siano uno! Allora non saranno più loro ad agire, a pregare, a celebrare… ma sempre Gesù in loro! L’Unità è la palestra della santità. È il trionfo della carità. È Paradiso raggiunto, anche se siamo sempre sulla terra e quindi in militia per mantenerci uno e per consumare altre anime in uno. Chiara Lubich LA PRESENZA DI CRISTO Nel mondo siamo tutti fratelli, ma ognuno passa accanto all’altro ignorandolo. E questo avviene anche fra i cristiani battezzati. La comunione dei santi, il corpo mistico c’è. Ma questo corpo è come una rete di gallerie oscure. La potenza di illuminarle c’è: in molti è la vita della grazia. Ma Gesù non voleva solo questo quando si rivolse al Padre, invocando. Voleva un Cielo in terra: l’unità di tutti con Dio e fra loro: la rete di gallerie illuminata; la presenza di Gesù in ogni rapporto con gli altri, oltre che nell’anima di ognuno. Questo il suo testamento, il desiderio più prezioso di Dio che ha dato la vita per noi. (da La dottrina spirituale, Roma 2006, pp. 157-158) LA COMUNIONE DELL’AMORE Il beato Baldovino, in splendidi trattati poco conosciuti (1), afferma fra il resto, che la carità, diffusa nel nostro cuore dallo Spirito Santo, ha un’esigenza: chiama, in chi la vive, la reciprocità, dice: Opera sempre in modo che colui che è amato ami a sua volta. Chi ama vuole, insomma, condividere con l’amato non solo tutto ciò che possiede (beni materiali e spirituali) ma anche l’amore stesso. Esiste, dunque, per il beato Baldovino, l’amore di colui che ama e cerca la comunione, che egli chiama – questo amore – l’amore della comunione, e il ritorno dell’amore da parte dell’amato, che fa nascere fra i due la comunione dell’amore. Quindi c’è un amore della comunione e la comunione dell’amore. Realizzare fin d’ora questa comunione è predisporsi alla vita futura, in Cielo, dove l’amore reciproco sarà legge. La comunione dell’amore, secondo lui, porta alla beatitudine come si può sperimentare sulla terra. È la nostra esperienza: si tratta della gioia dell’unità, effetto del reciproco amore (…). Gesù infatti non ha detto solo: amate, ma amatevi; ha chiesto quindi un amore che va e viene. L’amore portato in terra da Gesù esige la reciprocità, vuole che si viva la comunione dell’amore (da Santità di popolo, Roma 2001, pp. 64-65) Chiara Lubich

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