Una via per i separati
Separazione e divorzio: se n'è parlato in un incontro delle diocesi italiane a Salsomaggiore. Intervista ad Ernesto Emanuele, fondatore dell’Associazione famiglie separate cristiane
556 operatori pastorali di 118 diocesi italiani si sono incontrati per la prima volta a Salsomaggiore ed hanno affrontato il tema scottante della separazione e del divorzio, così diffuso anche nelle comunità cristiane.
Ne parliamo con Ernesto Emanuele, 76 anni, milanese, che 20 anni fa ha fondato l’Associazione famiglie separate cristiane, che raggruppa persone che desiderano vivere cristianamente anche la vita da separati.
Un bilancio del convegno di Salsomaggiore?
«Il convegno è stato di altissimo livello e di grande partecipazione anche se mi sarei aspettato più relatori che provenissero dall’esperienza della separazione. Da quando, 20 anni fa, è nata l’Associazione famiglie separate cristiane siamo, anche tramite Internet, diventati numerosi, un popolo, e abbiamo elaborato una cultura, un pensiero su tutto l’ampio spettro del matrimonio e della separazione e anche una sintesi comune da poter offrire».
In Italia i separati si sentono ancora “sfrattati” dalla Chiesa?
«In genere i sacerdoti con cui lavoriamo sono molto accoglienti e certo rimangono male quando riferiamo casi di scarsa o nessuna accoglienza nella Chiesa. Nella realtà, però, un separato si sente escluso anche dagli amici del bar ed anche dalla Chiesa: non solo per gli aspetti teologici e dottrinali. Assistiamo da un lato a molta non conoscenza dei problemi della separazione e anche delle stesse norme della Chiesa sulla separazione: Per contro riscontriamo, anche tramite il telefono SOS separati un’ eccessiva “manica larga”, con tanti sacerdoti che con molta superficialità danno la comunione ai separati che hanno iniziata una nuova unione anche se la Chiesa lo vieta. Soprattutto non vi è uniformità di risposta. E questo per quanto riguarda l’Italia: In Svizzera, Germania i separati che hanno iniziata una nuova unione sono riammessi al sacramento dell’eucaristia con grande facilità».
Cosa occorre allora?
«Nelle prime comunità cristiane c’erano tre peccati: l’omicidio, l’adulterio e l’apostasia. Per essere riammessi nelle comunità c’era bisogno di un serio percorso. Oggi non c’è un periodo di ravvedimento, di revisione della propria vita, di penitenza.
Nel Codice di Diritto canonico è espressamente previsto che quando una persona si separa dovrebbe andare a parlare per avere dei consigli con il vescovo o con un suo delegato e non dal parroco amico magari non molto esperto. Così, anche come è scritto nel codice di diritto canonico, chi proviene da un’esperienza di convivenza e decide di sposarsi in Chiesa, il sacramento del matrimonio non dovrebbe essere dato con tanta facilità come è oggi, deve esserci anche qui un percorso».
L’Associazione da lei fondata cosa propone?
«I nostri gruppi sono sempre guidati e coordinati da un separato, soggetto e non oggetto della pastorale che comprende meglio le nostre problematiche ed è un testimone più credibile se, per esempio, propone di vivere l’astinenza sessuale.
Inoltre, nei nostri gruppi di preghiera sono presenti a volte coppie sposate , con una funzione di supporto e non di guida. Questo perché il mondo ha bisogno di testimoni e non di maestri come dice Paolo VI».
Ci sono ancora motivi di pregiudizio nella Chiesa verso l’associazione famiglie cristiane separate?
«Cambia da diocesi a diocesi. Ci sono pregiudizi perché il nostro è un movimento nazionale e, in alcune diocesi, ciò che non è diocesano non è ben visto. Non solo noi naturalmente, ma anche altri movimenti ecclesiali, anche riconosciuti dalla Chiesa e ben più grandi di noi.».
Ma voi cosa proponete ai separati?
«Noi proponiamo di ricominciare a pregare, per riattivare un rapporto con Dio. Noi non abbiamo risposte, ma se tu ti metti di fronte a Dio, Lui ti darà le risposte che ti servono. Ad esempio, abbiamo realizzato la Casa di Rho per separati, dove accogliamo persone di tutti i tipi, anche senza fede. È un’esperienza fantastica dove sta succedendo che le persone, sentendosi accolte nelle piccole cose, tornano a Dio. C’è un clima di generosità, di grande accoglienza, di unità. Persone che si aiutano».
Quali sono le motivazioni che l’ hanno spinta ad intraprendere questo cammino con l’associazione da lei fondata?
«Il Signore ti mette di fronte a certe situazioni nella vita e devi cercare di viverle bene, di aiutare gli altri. Il prossimo è quello che incontri, per me il prossimo non è quello che scegli tu, ma quello che Gesù ti mette accanto. Per me il prossimo è il separato. Il grande miracolo che vediamo non sono coppie che ritornano insieme, ma persone che ritornano a Dio perché il momento della separazione è il momento in cui una persona ha la massima disponibilità a rivedere la sua vita, ben più che in un lutto, ben più che nella perdita del lavoro. E questo è un altro argomento su cui dovremmo riflettere molto seriamente».