Una veglia a Lampedusa
Una partecipata preghiera organizzata da Rinnovamento nello Spirito, dalla parrocchia e dai movimenti ecclesiali presenti nel territorio per ringraziare i lampedusani della loro generosità con i migranti
Non solo sbarchi, evacuazioni e naufragi. A Lampedusa si prega. L’occasione è un’importante veglia promossa il 4 aprile dal Rinnovamento nello Spirito a cui hanno preso parte più di mille abitanti dell’isola. Lo slogan che campeggia è il motto evangelico «ero straniero e mi avete accolto». Una grande croce costruita con il legno delle carrette del mare campeggia sul palco. Presenti le autorità locali, il parroco di San Gerlando, il vicario generale della diocesi di Agrigento, mons. Melchiorre Vutera e il presidente nazionale di Rns Salvatore Martinez da noi intervistato.
Con che spirito i lampedusani vivono questa invasione di migranti?
«Per i lampedusani il bene comune esiste ancora e potrebbero insegnarlo anche a chi governa. Ho visto gente dispiaciuta per non avere più africani da accogliere. Certamente l’isola è andata in tilt, gli spazi angusti erano contesi, l’invasione ha condizionato la vita, ma il sentimento prevalente era il dispiacere per lo svuotamento dell’isola perché sono stati protagonisti di una pagina di solidarietà e nessuno è così alle strette da non aprire il cuore e fare qualcosa per gli altri.
Mi ha veramente commosso l’audacia della fede, come hanno condiviso il pane, alcuni africani sono stati accolti persino in casa».
Cosa si può fare per impedire queste migrazioni?
«O non partono e non arrivano mai a destinazione, ma una volta sbarcati con queste carrette fatiscenti, dei veri relitti, bisogna accoglierli. Non sono più né profughi, né clandestini.
Si ha avuto l’impressione che il problema riguardasse solo i lampedusani che sono stati abbandonati da tutti, mentre la migrazione è anche un fatto culturale. Tutti siamo migranti, in ognuna delle nostre famiglie c’è stata una migrazione anche dentro l’Italia, per motivi di studio o di lavoro.
Il problema non è come li respingiamo, ma che spazio c’è nel nostro orizzonte umano per un’umanità interconnessa. Al di là di ogni ideologia o referenzialità politica, il popolo lampedusano ha mostrato il vangelo della carità che non si chiede se una persona è migrante, profugo, clandestino, ma vede un uomo affamato, da accogliere, da amare».
Quale il significato della veglia di preghiera?
«La veglia non aveva nessuna connotazione di rivendicazione o di protesta, ma nell’elogiare la forza d’animo dei lampedusani, ci siamo chiesti dov’è la coscienza cristiana del nostro Paese?
Dal Nord non sono venute molte espressione di solidarietà, c’è stato un silenzio assordante, ma noi come cristiani dobbiamo avere la libertà di professare il vangelo altrimenti abbandoniamo Gesù sulla montagnetta di Lampedusa dove ci sono state migliaia di persone senza cibo, né coperte. Non si poteva dire che non era previsto perché va avanti da 7 settimane. La veglia ha avuto il significato di esprimere gratitudine ai lampedusani e poi per supplicare Dio per tutti i morti che ci sono stati nel Mediterraneo di cui non ne siamo nemmeno a conoscenza. Sono morti senza volto, senza nome. Dietro ad ognuno c’è una famiglia, una patria.
Questa interconnessione di popoli è cominciata nel 1989 e il Mediterraneo sarà sempre più protagonista. La veglia di preghiera non è per rientrare in noi stessi, ma è per recuperare una visione della storia terza rispetto agli autoreferenzialismi che incontriamo e per metterla sotto lo sguardo di Dio».