Una vedova molto allegra
È fatta. L’”operetta” di Franz Lehàr ha compito 132 anni di via ma non è invecchiata affatto. Anzi, ha dato spago al dinamico regista Damiano Micheletto per presentare a Roma, al Teatro dell’Opera una versione coprodotta con La Fenice di Venezia che è scintillio, gioco e voglia di far divertire. L’azione è spostata dalla Belle Epoque agli anni Sessanta del ‘900: operazione legittima perché il favoloso stato di Pontevedro può benissimo essere una banca di provincia con problemi finanziari.
Quando una ricca vedova, Hanna, si aggira nei paraggi arrivano i furbi che tentano di accapparrarsela, sposarla e prendere l’eredità. Così tra soldi, amori, un ventaglio misterioso che appare e scompare quale simbolo di fedeltà – o supposta infedeltà – lo spiritello indiavolato del regista veneziano inventa una messinscena spiritosa – talora anche troppo -, sapida, con una schiera di cantanti-attori-ballerini perfetti, e l’orchestra romana che ha trovato brio, leggerezza, trasparenza: una musica profumata. E ritmo. Perché il ritmo – valzer languido, mazurche, polke eccetera – la fa da padrone insieme ad una melodia sentimentale e a tratti furba che è seduzione accattivante.
Certo si sentono da lontano Schubert, Brahms, Schumann e un po’ Wagner, ma ad uso di un lavoro brillante dove l’eleganza è tutto o quasi tutto. L’amore la vince ovviamente, e il disinteressato Danilo sposerà Hanna, tra lo sconforto dei pretendenti.
Assecondato dalla direzione precisissima, puntigliosa di Constatin Trinks il regista ha dato sfogo alla inventiva coinvolgendo il pubblico, con trovate originali come l’anziano Cupido che entra ed esce col ventaglio amoroso dalla scena. Spettacolo godibile. Operetta o opera? Le distinzioni qui non servono. È musica, e bella musica. Diretta con passione e cantata con grande gioia di vivere. Non è poco.