Una valutazione omogenea
Le continue modifiche agli esami di fine anno interrogano sui risultati, sulle modalità di preparazione degli studenti, sul valore dei titoli. Necessitano indirizzi chiari.
Lo aveva voluto il ministro Fioroni e quest’anno è diventato realtà il test nazionale a domande e risposte somministrato agli alunni di terza media. Era nato dalla convinzione di poter garantire una maggiore omogeneità, la fine delle disparità fra le diverse regioni italiane, una ridefinizione delle nozioni minime necessarie alla promozione.
A giudicare dai risultati e dai commenti qualche perplessità resta. Gli alunni non erano pronti a quel tipo di domande, spesso sono stati premiati gli “audaci” e talvolta penalizzati i “secchioni”, quasi sempre gli studenti stranieri, molte domande inoltre erano “a trabocchetto” e pertanto ingannatrici.
Tuttavia il ministro Gelmini si dice soddisfatto, a suo avviso la prova ha contribuito a «modernizzare il sistema su basi internazionali e a garantire agli studenti una preparazione più seria e rigorosa». Del resto il risultato del test incide per un sesto sulla valutazione complessiva dell’alunno: saranno gli studenti davvero brillanti a meritare i voti più alti.
La convinzione di aver intrapreso la strada giusta è stata ulteriormente ribadita dall’annuncio di voler inserire il “quizzone” anche nell’esame della secondaria superiore entro il 2012. Difficile dire fino a che punto l’innovazione potrà migliorare i criteri di oggettività che pure vanno perseguiti in sede d’esame. Allo stesso modo è per ora una speranza la possibilità di un confronto più equo tra le valutazioni dei diplomati dei diversi paesi del mondo.
Possiamo comunque riflettere su alcune questioni che sarà opportuno avere chiare affinché il test nazionale possa inserirsi all’interno di un reale progetto di miglioramento nella preparazione dei nostri giovani.
Già il modello che doveva misurare il quoziente intellettivo, ideato all’inizio del XX secolo da Alfred Binet per tutelare i ragazzi più fragili, ha finito col determinare valutazioni assai discutibili: in America, per esempio, si è per un lungo periodo limitato a verificare quali fossero i buoni cittadini che avevano assorbito il sistema culturale egemone, talvolta con delle derive razziali. Bisognerà insomma selezionare le domande avendo cura di garantire agli alunni le stesse condizioni di svolgimento.
In secondo luogo, viene da chiedersi se gli insegnanti avranno sufficienti informazioni e chiarimenti da parte del Ministero per preparare gli alunni alla nuova tipologia di verifica. Una buona norma didattica vuole che, quando si presenta agli studenti un test, si sia fatto di tutto per consentir loro di raggiungere il punteggio massimo, ma per far questo gli insegnati devono aver ben chiaro il tipo di prova che somministreranno. Un’idea potrebbe essere quella di presentare un test di prova che funzioni da modello nell’anno precedente a quello della sua ufficializzazione.
In terzo luogo, il fatto che ogni anno vengano introdotte delle novità in sede di esame ha determinato una situazione di forti disparità di preparazione e di meriti tra le generazioni. Anni fa si veniva valutati su tutte le materie di studio, poi solo su alcune; prima da esaminatori solo esterni, poi solo interni, ora per metà esterni e per metà interni; inizialmente con due prove scritte, successivamente con tre; fino a poco fa con un credito scolastico di 20 punti, adesso di 25.
Di fronte a questa ridda di cambiamenti, viene naturale domandarsi se, al di là di innovazioni valutative e procedurali, non convenga sedersi a ragionare su come rendere la scuola effettivamente utile alla formazione e alla crescita dei giovani. Il problema più difficile da affrontare resta infatti di tipo pedagogico. Per quanto opportuno possa risultare il “quizzone”, la valutazione è solo un aspetto del problema e forse non il più importante.