Una trama d’amore

“Sai, sono nato in terra araba” – mi racconta Ugo, con il solito calore. Ed io lo ascolto, come al solito, con grande piacere. Siamo amici da tempo… “Sì, in terra araba, in Libia. Da genitori siciliani. Mia mamma raccontava che il periodo trascorso a Tripoli era stato il più bello della sua vita. Le piaceva il rapporto schietto, caloroso con la gente del posto, per lo più arabi ebrei, i berberi. Non potendo darmi il suo latte, faceva salire al terzo piano il pastore con la sua capretta. Mentre la mungeva essa mangiava il piatto di fave preparato dalla mamma. Penso che a quel latte debbo la voglia di inerpicarmi sulle rocce e sui dirupi. Tre anni sono stato a Tripoli. Tempo, fa qui a Torino, ho conosciuto Hassan, marocchino, e Bathie, senegalese. Con loro è stato un incontro felicissimo. Ho raccontato la mia storia, di come mio padre fu protagonista nella scelta della mia vocazione. Ad un certo punto del dialogo, udendoli ripetere più volte “inchallah” (se Dio vuole), mi è venuto spontaneo parlare loro della volontà di Dio, espressione del suo amore. E dicevano “ma tu sei più musulmano di noi”. Dalle loro parti, infatti, è il padre che vede la strada per ogni figlio. “Ti dicevo di mio padre. Ora però lasciami tornare un po’ indietro. Quando avevo dodici anni ci trasferimmo a Torino. Frequentavo il ginnasio più prestigioso della città. E fu lì che mi sentii chiamare per la prima volta terrone. Non capivo quella parola, ma la faccia dei miei compagni era abbastanza eloquente. Chissà, forse sarà stata una reazione all’emarginazione di quell’ambiente, chissà; comunque due anni dopo mi trovai “espulso da tutte le scuole del Regno”. Avevo scritto una nota sul diario del primo della classe, una nota infarcita di tutte le parolacce che non ero riuscito a gridare prima. E alla nota avevo messo la firma del preside…”. “Era una sera, con il cielo carico di stelle. E sicuramente la luce delle stelle brillava nel cuore di quel giovane sacerdote, e un po’ anche nel mio. Mio padre aveva capito che avevo bisogno d’una guida, e m’aveva consigliato di parlare con quel prete. Io con la religione non avevo avuto alcun rapporto fino ad allora. Non ci pensavo proprio. E io, quella sera, capii quanto fossi amato da Dio. La mia vita da allora cominciò a cambiare… “Avevo cominciato a frequentare la chiesa, m’ero impegnato nell’Azione cattolica, studiavo medicina, volevo che la mia vita fosse una donazione agli altri. Mi ero fidanzato, con una bravissima ragazza. Eravamo prossimi alle nozze, però non ero ancora riuscito a trovare un lavoro dopo due anni dalla laurea. Poi un giorno sentii parlare quasi per caso di una ragazza di Trento, Chiara Lubich, che aveva cominciato una nuova esperienza comunitaria basata sul vangelo vissuto. Non pochi la segui- vano. Ne fui affascinato; poi anche lei, la mia fidanzata. Mi giunse proprio in quel tempo un invito per trascorrere qualche giorno di vacanze a Fiera di Primiero, sulle Dolomiti: lì avrei incontrato questa gente. Partendo, lei mi disse di aver fatto un sogno strano… che ci lasciavamo e che io mi facevo frate, ed anche una frase di san Paolo che l’aveva colpita: “Passa la scena di questo mondo… se siete liberi non legatevi””. “Furono giorni intensi, per me stupendi, lassù sulle Dolomiti. Al ritorno papà mi attendeva per sapere di questa mia esperienza, voleva capire. E io gli raccontai tutto, su una panchina di corso Vittorio. M’ascoltò per ben tre ore senza fiatare, cosa davvero straordinaria per un tipo come lui. Alla fine, come sollevato da un peso, senza chiedermi nulla, esclamò: “Oh! finalmente! Di quattro figli almeno uno che non si sposa”. Io feci una faccia: ma che aveva capito? “Papà, io dicevo soltanto che…”. E lui incalzò, sicuro: “Non perdere tempo, diglielo subito alla fidanzata, che non abbia ancora da illudersi”. S’alzò dalla panchina e corse risoluto verso casa per dare la notizia a mamma. Mi chiedevo cosa stava succedendo… Ma l’incontro, subito dopo, con la fidanzata mi fece capire che Dio, rotto ogni indugio, aveva sciolto come nebbia al sole ogni legame e ci guidava per la sua strada. Il giorno dopo ricevetti un biglietto: la mia fidanzata era serena e contenta che io seguissi la mia strada per offrirmi completamente a Dio. Qualche giorno dopo ero sul treno, biglietto per Trento. Si era fatto libero un posto come medico del lavoro che mi portò tra i minatori dell’Alto Adige. Fui così a contatto diretto con le prime comunità del focolare che per 10 anni sono state per me una vera scuola dell’arte di amare. Anche la preparazione all’incontro con colei che Dio aveva scelto per mia compagna. Ma ora è il momento di parlarti di Bruna…”. “Bruna viene dalla campagna toscana. La sua infanzia è stata segnata da un’indigenza estrema, anche se dignitosa. La madre, una donna granitica, temprata dalla fatica e scavata dal dolore, lavorava nei vivai, ma anche si prodigava per gli ammalati e i moribondi di tutto il paese. Era un esempio per tutti: ed era impossibile disobbedirle. Non c’era tempo e spazio per una carezza, un bacio, un sorriso. Bruna ne soffriva, si chiedeva spesso perché era nata e che religione fosse mai quella di sua madre. Sfogava la sua ribellione rifugiandosi sul tetto della casetta tra nidi di rondini e di vespe. Lì, ritrovava la sua libertà e tutti i suoi sogni. Insomma, era una vera cenerentola! In chiesa doveva andarci, ma lei dentro di sé diceva sempre un secco “no”. Finché, una sera, aveva 18 anni allora, proprio durante una messa… C’era un frate colla voce tonante che predicava dal pulpito, e Bruna rimase così colpita che nacque subito in lei l’esigenza di una conversione profonda. La mattina seguente, era ancora buio, corse a confessarsi. Poi, dopo qualche mese, un grave incidente: cadde nel torrente… la portarono in ospedale, reparto pediatrico, e la diagnosi non lasciava molto scampo. Ma per Bruna fu il periodo più bello della sua vita, quello del primo amore: l’incontro con quel Dio, al quale aveva da poco cominciato a dire il suo “sì”. Contro ogni previsione, trascorsi sei mesi, i medici le dissero che sarebbe guarita. Durante la lunga convalescenza, decise di diventare infermiera, per sollevare un po’ il dolore della gente. Appena ebbe un lavoro mise a disposizione della famiglia di sua sorella maggiore – una famiglia che cresceva di anno in anno, sette figli in undici anni, con tante difficoltà – tutto quello che guadagnava col lavoro in corsia e con le assistenze notturne. Nel frattempo aveva conosciuto pure lei, il focolare, a Firenze…”. “Ma, a questo punto, lascia che ti porti, a volo d’uccello, alla Porziuncola d’Assisi. Un salto nel tempo. Erano successi diversi fatti… la vita mia e quella di Bruna si erano intrecciate ed ora eravamo là, in quel posto pregno di significati, a dire il nostro sì per sempre l’uno all’altro, rivolti a quel Dio che ci aveva chiamati al suo progetto. Attorno a noi, in quel giorno di festa, c’erano gli amici del focolare che avevano seguito con tanta partecipazione la nostra avventura. “Forse adesso capirai meglio perché ogni volta che racconto di Bruna e di me, finisco col parlare di Adamo ed Eva. Perché di loro viene messa, di solito, in evidenza la caduta. Si sottolinea troppo poco il disegno che il Creatore aveva pensato, com’era in principio, quell’essere una sola Carne! Sì, con la C maiuscola. Ed è quello che abbiamo avuto la fortuna di sperimentare, Bruna ed io nel nostro matrimonio. Era un mio sogno, un’attrattiva che sentivo da sempre: riportare tutto l’umano della vita coniugale nel recinto del sacro… “Ora, sono un medico in pensione. Abbiamo parecchi acciacchi, ma, sai, io trovo Bruna sempre nuova, più bella; ci ripetiamo spesso che siamo ancora agli inizi; ci specchiamo nel nostro dover essere e ritroviamo lì quell’amore che non conosce stanchezza. Sai qual è il regalo più bello che Bruna mi fa? Quello di dirmi che si sente sempre più libera…”.

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