Una tragicommedia della politica italiana

A malincuore bisogna registrare il degrado che attraversa la nostra agorà pubblica. Show e improvvisate non servono a granché, salvo ad invelenire il clima istituzionale
manifestazione montecitorio

C’è innanzitutto da registrare la visita ampiamente mediatizzata del presidente Berlusconi a Lampedusa. Chi conosce il “farsi uno” – cioè il «farsi tutto a tutti» di San Paolo – capirà cosa vogliamo dire. Il “farsi uno”, cioè il con-dividere con l’altro la sua condizione, felice o tragica, facendola propria per amore, senza interesse. Non si improvvisa, si apprende con duro e infinito esercizio. Beh, se volessimo dare una lettura benevola (e il “farsi uno” ce lo chiede) dello show interpretato ieri dal Presidente del consiglio a Lampedusa, dovremmo dire che si è trattato di un modo maldestro di “farsi uno”: «Sono uno di voi, ho acquistato una casa qui». L’amore al fratello che scivola verso la goffaggine di quei surrogati del “farsi uno” insegnati nei manuali di marketing che spiegano l’importanza del sorridere, dell’interessarsi all’altrui universo, per carpirne la benevolenza.

 

No, presidente, non ci siamo, e oggi glielo diciamo senza acrimonia ma per amore alla verità, quella evangelica. Non c’era bisogno di comprare una casa per dare un annuncio; c’era invece bisogno di guardare negli occhi i lampedusani, dire loro un grazie (e se proprio li si vuole candidare al Nobel per la pace, lo si faccia e poi lo si dica), e capire, finalmente, come farsi carico della tragedia umana che si è riversata su di loro e che l’Italia ha lasciati soli a fronteggiare. C’era bisogno poi di guardare negli occhi anche i migranti (un pescatore lampedusano, commentando l’espressione da lei usata, ha detto alla nostra inviata: «Io non vedo poveri cristi nei tunisini del porto, ma vedo Gesù che mi passa accanto»): umanità priva di tutto che cerca solo, per lo più, pane e libertà, per capire quanto l’Italia può rispondere davvero a questa domanda dall’umanesimo primordiale. C’era bisogno insomma di “farsi uno” davvero, per capire, finalmente, cosa fare. E mettersi, finalmente, a governare.

 

Ma che si fosse lontani da questa dimensione lo dimostrava il fatto che, nel frattempo, il Parlamento si produceva in un’altra performance umiliante. Umiliante sia sotto il profilo dei provvedimenti messi in fretta e furia all’ordine del giorno; sia sotto il profilo della prova di sé che hanno dato, quanto a diseducazione e volgarità, parlamentari di tutti gli schieramenti e ministri (e stamani le cose non vanno meglio).

 

Purtroppo, un’altra giornata di ordinaria politica italiana, che è plausibile tradurre così: mentre il premier con il solito dispiego di forze massmediatiche scendeva a Lampedusa, Parlamento e governo si preoccupavano di affrontare e risolvere per lui l’incalzante “processo Mills” attraverso l’accorciamento della prescrizione per i reati compiuti da incensurati. Il grido «abbasso i giudici e la Corte costituzionale» dell’on. Dussin, vice-capogruppo della Lega Nord, ha fatto registrare da questo punto di vista un momento di autentico degrado istituzionale.

 

L’indignazione è ormai un sentimento di tanti italiani. Non tutti. Sappiamo quanti cittadini comprendono le ragioni del governo e della maggioranza, e si deve perciò evitare in tutti i modi di scavare solchi ulteriori tra l’uno e l’altro. Ma sono tanti i cittadini – anche di destra, oltre che di centro e di sinistra – a cui sembra colma la misura dell’uso privato delle istituzioni. Proviamo a parlarne. Anzi, dobbiamo parlarne, senza infingimenti e con serenità, senza gettarci addosso anatemi o scomuniche, ma guardando al bene comune.

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