Una telefonata dal Cairo

La quotidianità nell’emergenza fa emergere un popolo che crede in sé stesso e nella solidarietà internazionale. S. B. ci ha chiamato dalla capitale
egitto proteste

«Quando la polizia si è ritirata dalla città, avendo lasciato per terra decine di morti, si sono verificati numerosi atti di saccheggio gratuiti, anche sotto casa mia. Spontaneamente l’indomani la gente è scesa per strada e ha deciso di dividersi le ore della notte per percorrere le strade del quartiere ed evitare incidenti simili. Da quel momento nulla di sconveniente è successo, e i concittadini hanno cominciato a prendere coraggio.

 

«Si comincia a respirare un clima di libertà sconosciuto per tanti di noi egiziani. E mi sembra che emerga in noi un senso di responsabilità che non supponevamo nemmeno di avere. Sentendo che i media del mondo intero ci stanno sostenendo nel nostro desiderio di libertà, ci sentiamo ancor più responsabilizzati. Amiamo il nostro Egitto come forse mai abbiamo fatto in precedenza.

 

«La figura di el-Baradei è arrivata un po’ dall’esterno. Ha quasi sempre vissuto all’estero e non pensavamo che fosse la persona più adatta per governare. Alle elezioni avrebbe preso pochi voti. Ma la piazza gli sta dando una autorità che non pensavamo avesse. E ci siamo accorti che è un uomo libero, né soggetto ai diktat statunitensi né legato alla nomenclatura di Mubarak. Sta acquisendo una leadership inattesa, riconosciuta anche dai Fratelli musulmani, che sono disposti a riconoscerlo come vero mediatore nella attuale confusione istituzionale».

 

«C’è poi da sottolineare il comportamento dei giovani, che hanno avuto il coraggio di rischiare la loro vita iniziando le manifestazioni e adesso proteggendo le strade e le case. Tra l’altro, fraternizzando con l’esercito, hanno aperto la possibilità di una mediazione. Di loro il popolo si fida».

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