Una svolta solo nazionalista?
Il New York Times, che titola «Le elezioni riportano al potere la vecchia guardia», offre un'analisi interessante di come, per ammissione dello stesso Abe, «questo non è un recupero della fiducia nel partito liberale, ma il rifiuto di tre anni di governo democratico incompetente». A giocare un ruolo chiave, secondo El Paìs, sarebbe stata soprattutto «la risposta confusa del Partito democratico alla crisi di Fukushima, e la reazione alle pesanti tasse imposte per mantenere lo stato sociale di fronte all'invecchiamento della popolazione»; ma non certo una reale “svolta a destra” del Paese.
A prova dello scarso entusiasmo degli elettori pur nelle percentuali pressoché bulgare ottenute dai conservatori, il quotidiano newyorkese fa notare come «nella più grande consultazione elettorale di sempre, con dodici partiti e oltre mille candidati, l'affluenza alle urne è stata invece una delle più basse che si ricordino, il 59 per cento». Sarebbe quindi affrettato concludere che il partito gode di un sostegno di massa; e a confermare che «questa tornata è solo la prima tappa – ricorda Le Figaro – sono le elezioni per il Senato a giugno e luglio, che confermeranno o metteranno in discussione la maggioranza attuale: e la durata media in carica dei premier giapponesi (sette in sei anni) è così corta che Abe non correrà dei rischi inutili imponendo un'agenda ideologica (quella nazionalista, ndt) che i giapponesi riterranno sempre secondaria rispetto al risanamento dell'economia».
Nonostante ciò, a tenere banco è proprio l'annunciata intenzione di Abe di riformare la Costituzione “pacifista” del Giappone e le sue dichiarazioni nei confronti della Cina. L'australiano The Age, sempre attento – come tutti i quotidiani del Pacifico – a ciò che accade a Tokyo, apre l'articolo «Il nuovo premier parla duro» dando particolare peso alla disputa territoriale con Pechino sulle isole Senkakus, che promette di riprendere vigore, e soprattutto alla questione degli alleati del partito liberale. Tra questi c'è infatti il Partito restauratore, il cui leader Shintaro Ishihara «sostiene la necessità che il Giappone si doti di armi nucleari, rafforzi l'esercito e riformi la Costituzione pacifista». Un alleato “scomodo” ma di peso, considerati i 61 seggi che avrebbe guadagnato.
Anche il Guardian abbandona la consueta flemma britannica con un titolo come «La vittoria dei falchi giapponesi fa crescere il timore nella regione», parlando addirittura di «un'era di tensione e dispute» che si apre per l'Estremo Oriente. Abe infatti «minaccia di compromettere ulteriormente le relazioni con la Cina», avendo «promesso di rafforzare l'esercito di fronte all'atteggiamento aggressivo di Pechino sul Mar Cinese Orientale e del programma missilistico della Corea del Nord». Per questo ci si aspetterebbe «una reazione furiosa» da parte della Cina, soprattutto se Abe porterà avanti l'installazione di basi per pescherecci ed altre attività economiche nelle Senkakus. Certo, ricorda l'articolista, «diversi analisti sostengono che Abe adotterà un approccio più conciliante verso il maggior partner commerciale del Paese»; ma difficile dimenticare che Pechino ha già messo più volte in guardia il vicino anche tramite l'agenzia di Stato Xinhua, che ha dichiarato che «il Giappone, che ha portato così tanta devastazione durante la seconda guerra mondiale, solleverà ulteriori sospetti negli altri Paesi asiatici se la svolta nazionalista non verrà fermata in tempo».