Una storia di famiglia e il nostro debito
Le spese superano le entrate…
Immagina una famiglia di quelle di una volta, con tanti figli adulti sotto uno stesso tetto, la gran parte con un lavoro fuori di casa, anche ben pagato. Il vecchio padre decide, con una certa larghezza, tutte le spese comuni (vitto, riscaldamento, riparazioni della casa), paga i figli che lavorano in casa e provvede anche a quelli che non hanno un reddito sufficiente.
Per poter far questo chiede a ciascuno di contribuire. Ma i figli non sono mai d’accordo sui criteri da usare per decidere quanto debba pagare ognuno. Alcuni, poi, soprattutto quelli che lavorano in proprio, non si sa mai quanto guadagnino e c’è sempre chi trova il modo di sottrarsi alla sua contribuzione. Infine, come se non bastasse, i figli che lavorano in casa, alle dirette dipendenze del padre, in genere se la prendono comoda.
Il padre non ha la forza di imporsi, né tantomeno ne ha l’autorità morale. Infatti, a dispetto dei problemi del bilancio familiare, ogni tanto, di nascosto dai figli, si concede qualche costosa serata in osteria; e poi magari allunga qualche soldino all’uno o all’altro figlio, per comprare la sua complicità. Non è da stupirsi, allora, se le spese superano largamente le entrate della cassa comune.
… e il debito si accumula
Come fare? Il padre una soluzione per l’immediato l’ha trovata: farsi prestare dei soldi dai figli più benestanti, promettendo di ripagarli con tanto di interessi, quando, in futuro, metterà ordine nei conti familiari. Dai e dai, il debito si accumula, tanto più che per continuare a farsi far credito dai figli, il padre deve promettere interessi sempre più alti. Chiunque esamini la situazione con un po’ di attenzione e di onestà si rende conto che non si può andare avanti così. Pensate che il debito è ormai più delle paghe di un anno di tutti i figli messi insieme! Ma a chi tocca cominciare per primo a ricevere meno e a pagare di più?
Drastici cambiamenti
Mentre tutto continua come prima, però, succede un fatto nuovo. Il consorzio del quartiere di cui fanno parte decide di asfaltare la strada. La nostra famiglia è tra quelle più interessate al progetto, ma gli altri hanno stabilito che per poter partecipare occorre prima avere i propri conti familiari in ordine.
Sembrerebbe proprio la volta buona! Non volendo sfigurare di fronte ai vicini e dispiaciuti di restar fuori dall’affare, parecchi dei figli sembrano convinti dell’urgenza di mettere finalmente ordine nella cassa comune. Il padre prende il coraggio a quattro mani e annuncia drastici cambiamenti: d’ora in poi la cassa comune non provvederà più a certe spese mediche per chi guadagna abbastanza; la somma che lui stesso distribuisce a chi ha smesso di lavorare subirà una limatina; e tutti dovranno pagare di più in proporzione a quanto guadagnano. Certo, se ci avesse pensato su un po’ di più prima di dare questo annuncio sarebbe stato meglio.
… ma i figli protestano
Di fronte alle proteste di chi si sente ingiustamente colpito, e in vari casi lo è davvero, il padre è costretto a una penosa contrattazione dei molti dettagli sul quando, sul quanto e sul come. E, di fronte a una compatta levata di scudi di una parte della famiglia, decide di ammorbidire le misure già annunciate, e impone invece una contribuzione minima ai figli che lavorano in proprio perché nessuno sa quanto guadagnino (né il padre si è mai seriamente dato da fare per scoprirlo).
Nei confronti degli altri figli che hanno sempre dovuto pagare quanto dovuto è certo un atto di giustizia, perché si fa pagare di più a una categoria che nel complesso l’ha sempre passata liscia. Ma se si va a distinguere tra l’uno e l’altro dei lavoratori in proprio, ci si accorge che per quelli che davvero guadagnano poco è una richiesta ingiustificata, mentre quelli che guadagnano molto non sono minimamente toccati; solo per quelli di mezzo la cosa è sacrosanta, ma non certo gradita.
Ecco allora che a protestare tutti insieme sono i figli che lavorano in proprio, e ancora una volta il padre comincia a fare marcia indietro. In compenso, negli stessi giorni distribuisce un’altra manciata di dobloni in sussidi di vario genere, lasciando che ad amministrarli siano i soliti aiutanti poco affidabili.
Crediti e debiti
Lasciamo ora la dolorosa cronaca per fare alcune considerazioni. Non dobbiamo pensare che per questo la nostra famiglia patriarcale sia alla miseria. Nonostante gli sprechi, il tenore di vita fin qui condotto non era fuori dalle sue possibilità economiche, visto che, pur con le dovute eccezioni, i più lavoravano sodo e guadagnavano. Sarebbe bastato che alla cassa comune fosse affluita una maggiore quantità di contribuzioni perché i conti tornassero. Infatti, per ciascuno degli anni passati a ogni euro di deficit della cassa comune ha fatto riscontro un euro in meno corrisposto da qualcuno dei figli. Così, al debito della prima fanno riscontro i crediti dei secondi, crediti che non esisterebbero se la cassa fosse sempre stata mantenuta in pareggio.
Il fatto che la famiglia sia indebitata con sé stessa, e non con altri, fa immediatamente pensare che le cose potrebbero essere rimesse a posto con un colpo di spugna che cancellasse tutti i crediti dei figli, crediti che in fondo corrispondono ai loro debiti in quanto membri della comunità familiare.
Disuguaglianze
Purtroppo, però, le cose non sono così semplici. La corrispondenza tra crediti dei figli e debiti della cassa comune vale solo nel complesso dei figli, ma con grandi differenze tra gli uni e gli altri. Alcuni non hanno crediti perché non hanno mai avuto dei soldi in più da poter prestare alla cassa comune, o perché pur lavorando sodo guadagnano poco, o magari perché hanno sempre pagato fino all’ultima lira le loro contribuzioni. Altri sono nella stessa situazione perché hanno poca voglia di lavorare (è per quello che guadagnano poco), o sono spendaccioni. Altri ancora i soldi li avevano, ma non hanno mai voluto prestarli alla cassa comune. E poi ci sono i maggiori creditori, tra i quali troviamo i più laboriosi e previdenti, ma anche i maggiori evasori. Infine, per complicare ulteriormente la faccenda, c’è che un po’ di soldi il padre se li è fatti prestare anche da qualche estraneo, qualche straniero molto ricco, che non partecipa al ménage familiare.
Senza facili soluzioni
Questo indica che facili scorciatoie accettabili in base a criteri di giustizia non ce ne sono, e che per rimettere le cose a posto non si potrà fare a meno di ripercorrere faticosamente in salita il cammino percorso in discesa negli anni precedenti, ossia facendo sì che per molti anni la cassa comune resti in attivo in modo da ripagare pian piano quei debiti.
Idee per cambiare rotta
Per finire, cosa potremmo suggerire a questo padre e a quelli dei suoi figli che hanno buona volontà di risanare la situazione?
Primo, nella misura in cui ciò è possibile, indirizzare l’attenzione innanzitutto verso chi ha fin qui beneficiato della mala amministrazione: non solo, naturalmente, gente arricchitasi con le tangenti e grandi evasori, ma anche i molti percettori di pensioni di invalidità fasulle (che andrebbero riesaminate), o i pensionati “baby”, posti troppo generosamente in quiescenza sui 40 anni, dopo solo 15 o 20 anni di servizio (limitatamente a queste pensioni i tagli proposti dal governo erano moralmente giustificati).
Secondo, non continuare a rinviare il riordino dell’amministrazione tributaria, la cui efficienza e onestà sono condizioni indispensabili per non dissolvere la restante fiducia dei cittadini.
Terzo, accompagnare le maggiori richieste alla popolazione con effettive riduzioni di spese nei rami secchi dell’amministrazione pubblica, a costo di farsi dei nemici tra i dipendenti ricorrendo a trasferimenti o riduzioni di personale.
Infine – per uscir di metafora –, trasmettere agli italiani il messaggio che non si vuole smantellare alla cieca lo Stato sociale, ma si chiede collaborazione e sacrificio (e per molti anni) con l’obiettivo di poter continuare a garantire a tutti i cittadini servizi essenziali a una vita dignitosa. Questo avverrà in modo diverso dal passato, ma il tutto all’interno di un quadro coerente di ampio respiro che va disegnato al più presto e poi realizzato nel tempo, senza farsi sviare e confondere dalla pur pressante emergenza finanziaria o dalle proteste di questa o quella categoria.