Una stagione nuova di vita e di missione

Pubblichiamo l'intervento integrale di Maria Voce, presidente dei Focolari. L'appuntamento della Chiesa italiana a Firenze deve «dare voce e dignità a quanti sono ai margini, allargare i cerchi dell'inclusione, sanare e ricostruire il tessuto sociale disgregato»
Maria Voce
Maria Voce presidente dei Focolari

Roma, 15 maggio 2015

 

 “Pensieri introduttivi di una cristiana”

Per prima cosa non posso non esprimere la gioia sincera di essere qui con voi! Gioia per questo incontro e gratitudine al Padre per i cammini che ci hanno condotto – per strade diverse ma accomunate dall’ascolto della Parola e dal servizio ai fratelli – sino a qui.

Quella di oggi non è solo una tappa intensamente voluta e senz’altro preziosa sulla via che guida la Chiesa in Italia verso il Convegno nazionale di Firenze, ma è anche il segno di un tempo di grazia che, a cinquant’anni dal Vaticano II, il Padre ci dona di vivere come Chiesa del suo Figlio Gesù, il primogenito tra molti fratelli, nel soffio fresco, rigeneratore e anche sferzante dello Spirito Santo che parla oggi alle Chiese (cfr. Ap 2,7) attraverso le parole e i gesti di Papa Francesco.

La gioia è quella di ritrovarci così, per condividere esperienze, risultati, difficoltà, attese, propositi, come fratelli e sorelle alla scuola dell’unico Maestro, di quel Gesù che un giorno abbiamo incontrato ed a cui abbiamo dato il nostro cuore con un sì senza riserve.

              Si tratta di ripercorrere una storia di amore con Lui. La mia dura ormai da tanti anni. Permettetemi di ricordarne alcuni momenti.

Il giorno della mia Prima Comunione, quando vedevo la mia vita davanti a Lui come una pagina bianca, in fondo alla quale io scrivevo “amen” e lasciavo a lui riempirla, sicura che l’avrebbe fatto.

A quindici anni ho sentito di dover mettermi a disposizione del parroco per fondare l’Azione cattolica nel mio paese e mi sono dedicata a questo intensamente.

Nel ’58 a Lourdes ho chiesto alla Madonna di farmi incontrare qualcuno o qualcosa che riempisse completamente quel vuoto che a volte sentivo e che non sapevo neanche da che cosa veniva, visto che potevo dire di avere tutto: una buona famiglia, il necessario per vivere, il successo negli studi, ecc.

              L’anno dopo, qui a Roma, all’università La Sapienza, l’incontro con i giovani del Movimento dei Focolari, che mi hanno mostrato una possibilità di uno stile di vita assolutamente nuovo. E ancora la prima visita in focolare, quando alla mia domanda “che cosa fare per essere come voi?”, mi sono sentita dire che bastava vivere, perché si trattava di una vita, non di una organizzazione. Era Gesù che mi chiedeva di iniziare questa vita nuova con Lui e ho cominciato a fare le prime esperienze come, ad esempio, per amore suo, ascoltare mia zia, anche se raccontava delle cose che non mi interessavano.

              E ancora la notte insonne passata quando mi sembrò di capire che Gesù mi chiamasse a consacrarmi tutta a lui e temevo che potesse essere magari una fantasia della mia immaginazione. Non volevo rischiare di perdere l’occasione di dire di sì a Gesù, ma non volevo neanche ingannarmi su questo. E solo quando finalmente, la mattina, mi sono arresa e nella comunione gli ho detto: “Bene, se è vero che tu mi vuoi, io sono pronta”, ho sentito che era vero e che dovevo partire per donare tutta la mia vita a Lui nel focolare.

              L’ho fatto, felice di potergli donare le cose più belle che avevo: la mia famiglia, la promettente carriera di avvocato già iniziata, la possibilità di una famiglia futura, ecc.

              E così fino ad oggi, in cui Gesù mi chiede di dare il mio servizio al Movimento dei Focolari e, attraverso di esso, alla Chiesa e all’umanità.

 

La “Traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale” ci propone cinque vie, le stesse suggerite da Papa Francesco nella Evangelii gaudium, declinate attraverso cinque verbi che ci indicano la direzione da intraprendere: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare.

              Sono verbi che tratteggiano uno stile, implicano una conversione e chiedono delle scelte e delle prassi forti e chiare.

 

Uscire. Il primo verbo dice lo scatto d’anima e di decisione che oggi ci è chiesto nel vivere la “nuova tappa dell’evangelizzazione” che Papa Francesco fa brillare vivida di fronte a noi come esigenza, la più radicale, per servire l’uomo là dove oggi si trova, nelle “periferie esistenziali” della nostra storia. Questo significa almeno due cose.

Per prima cosa – come si legge nella “Traccia” – occorre «liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto». No, il futuro non possiamo né dobbiamo presumere d’averlo già scritto noi. Occorre far spazio, e sino in fondo, all’ascolto della Parola di Dio e delle parole dei nostri contemporanei, che devono risuonare come nostre nei nostri cuori.

E per far questo ecco la seconda cosa, che dico con le parole di Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti all’Assemblea Generale del Movimento, nel settembre scorso:

«…dobbiamo uscire con coraggio “verso di Lui fuori dall’accampamento, portando il suo disonore” (Eb 13,13). Egli ci aspetta nelle prove e nei gemiti dei nostri fratelli, nelle piaghe della società e negli interrogativi della cultura del nostro tempo. (…) serve una spiritualità dell’uscire (…): non rimanere dentro chiusi a quattro mandate. (…) Perché la Chiesa sembra un ospedale da campo. E quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo»[1].

 

Il secondo e il terzo verbo – annunciare e abitare – mi piace vederli insieme, strettamente anzi indissolubilmente congiunti. Non si può annunciare, infatti, la gioia che viene dal Verbo che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14) e che si è calato nell’abisso di ogni grido dell’uomo abbandonato (cfr. Mc 15,34; Mt 27,46), se non abitando la carne e le grida, espresse o tacite, degli uomini e delle donne attorno a noi. Solo gesti e parole, che nascono da questa condivisione e da questa immersione, indirizzano «lo sguardo e i desideri a Dio», al Dio di Gesù, che è Misericordia e libertà. Sono venuto – dichiara Gesù – ad «annunciare il Vangelo ai poveri» (cfr. Lc 4, 18-21). Per questo ci affascina e ci coinvolge il sogno tenace di papa Francesco: «una Chiesa povera e per i poveri».

 

Di qui il quarto verbo: educare. Esso dice, innanzi tutto, l’urgenza di lasciarci educare, tutti, da Dio come suo Popolo lungo i sentieri impervi e interpellanti della storia.

Si tratta di lasciarci forgiare, insieme, da quel nuovo paradigma di umanesimo che scaturisce dalla pasqua di Gesù, il Signore crocifisso e risorto, come convivialità del “noi” in cui «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).

 

E infine il quinto verbo: trasfigurare. Si legge nella “Traccia”: «il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello». Ciò si realizza attraverso la preghiera, dove la Luce trasfigurante di Dio inonda il nostro cuore; e attraverso l’Eucaristia, dove la carne trasfigurata di Gesù si fa nostro cibo per trasformarci in Sé. Ma questa trasfigurazione deve manifestare la sua bellezza e la sua promessa nelle trame tormentate e spesso tortuose della nostra storia.

Non attesta il racconto di Emmaus che è la presenza stessa di Gesù, il Risorto, che apre gli occhi e fa ardere il cuore? (cf Lc 24,31-32). È questa, scriveva Chiara Lubich:

«la grande attrattiva del tempo moderno:

penetrare nella più alta contemplazione

e rimanere mescolati fra tutti,

uomo accanto a uomo.

Vorrei dire di più: perdersi nella folla,

per informarla del divino,

come s’inzuppa un frusto di pane nel vino.

Vorrei dire di più:

fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità,

segnare sulla folla ricami di luce

e, nel contempo, dividere col prossimo

l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.

Perché l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi,

è ciò che di più umano e di più divino

si possa pensare:

Gesù e Maria,

il Verbo di Dio, figlio d’un falegname,

la Sede della Sapienza, madre di casa».

 

Un ultimo pensiero.

 

Il Convegno ecclesiale di Firenze, come i precedenti, vuole ritmare una stagione nuova di vita e di missione della Chiesa in Italia: non solo in riferimento alla “conversione pastorale” che la incalza, ma anche al ruolo e alla prassi pubblica dei cristiani a confronto con la realtà sociale, economica, politica, del nostro Paese con lo sguardo aperto all’Europa e al mondo.

In verità, l’umanità sta avanzando in una relazione sempre più intensa tra gruppi, popoli e culture, e lo sviluppo delle istituzioni è sfidato dal pluralismo, dalla domanda bruciante di comporre le molteplici diversità che attraversano l'ambito pubblico.

Per quanti seguono la spiritualità del Movimento dei Focolari – che il Papa stesso ha riconosciuto frutto di un carisma mandato da Dio per il bene di molti –, questa nuova stagione significa trasformare il mondo, partendo dalla conversione radicale del cuore e della mente per essere pronti ad incontrare Gesù in ognuno. Significa amare i fratelli, tutti figli dello stesso Padre, tutti amati immensamente da lui. Dio non può accettarci da soli, vuole che andiamo a lui con i fratelli, ed ha promesso la sua presenza lì dove siamo uniti dal suo amore.

È questo il miracolo antico e sempre nuovo del Vangelo di Gesù che oggi, ancora una volta, accende la nostra anima: i nostri occhi si aprono a scorgere le ferite dei cuori e dei corpi; le nostre mani si stendono ad accarezzarle e fasciarle e l’un l’altra si stringono in un patto di giustizia, di solidarietà e di pace; i nostri piedi – come quelli del messaggero di lieto annuncio (cfr. Is 52,7) – riprendono vigore e slancio nel cammino.

Sì, è questa la gioia trepidante e austera che avvertiamo nascere in noi, nel far nostra, disarmati, la preghiera di madre Teresa: «Rompi completamente, o Signore, il mio cuore, perché tutto il mondo vi cada dentro».

Dare il nome cristiano della fraternità al legame sociale vuol dire impegnarsi per armonizzare l'intreccio delle relazioni, riconoscendo la nostra co-appartenenza reciproca e i vincoli di responsabilità che ne derivano, e orientando l'agire personale e collettivo al bene di tutti.

Per questo occorre puntare anzitutto a dare voce e dignità a quanti sono ai margini, ad allargare i cerchi dell'inclusione, a sanare e ricostruire il tessuto sociale disgregato.

Sono prima di tutto i giovani a chiedere di portare il proprio contributo. Quante iniziative diffuse localmente, al cuore di innumerevoli frammenti di vita civile “fraterna”! Sono cantieri aperti dove si sperimentano forme nuove di economia, di risparmio e di consumo, di lavoro e di cura, di dialogo e di decisione, di partecipazione e di rappresentanza.

Gesù fra noi ci spinge a guardare al mondo come lo guardava lui: per amarlo, per salvarlo, per far sperimentare la pace, la luce che lui porta. È per questo che chiama noi, laici, a restare nel mondo, con tutte le sue difficoltà e i suoi assalti, con le sue angosce e le sue domande, perché, chi vive accanto a noi, possa essere contagiato da questa forza, da questa gioia, da questa festa perenne.

              Così la Chiesa oltrepassa i confini degli edifici di culto e, nella piena comunione fra clero e laici, si fa più vicina all’umanità di oggi. E insieme rispondiamo alla chiamata di Gesù di evangelizzare il mondo, a incominciare dalla nostra amatissima Italia.

 

Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari



[1]
Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale del Movimento dei Focolari,26 settembre 2014.

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