Una speranza col punto interrogativo

I separatisti baschi dell'Eta hanno annunciato la cessazione definitiva dell'attività armata. Ma tra promesse non mantenute in passato e nodi ancora irrisolti, la cautela rimane d'obbligo
scritta Eta

Zorionak!! È l’espressione con cui i baschi si fanno gli auguri. La si sente a Natale, ma anche nei compleanni ed altre simili circostanze. Ebbene, è la parola che ho trovato giovedì sera come sunto in una mail inviatami da un amico: «Oggi è un grande giorno per la speranza, per percorrere insieme un cammino verso un orizzonte di pace». È stato così che ho saputo dell’annuncio fatto poco prima dall’Eta sulla rinuncia all’uso della violenza.

 

Nell’ora dell’annuncio, pressappoco le 19, in una stradina del casco viejo, il quartiere antico di Bilbao qualcuno mi porgeva un foglietto: l’Accordo di Gernika, ossia un insieme di forze politiche della sinistra nazionalista (“abertzale”), convoca ad una manifestazione per sabato 22 “Euskal Herriak konponbidea nahi du”, cioè "Il Paese Basco per la soluzione". L’elenco delle proposte del foglietto si rifà senz’altro alle trattative di pace finite domenica scorsa a San Sebastián.

 

L’annuncio dell’Eta è la solita registrazione fatta dalle telecamere della BBC e poi pubblicata nei siti di due giornali web baschi, Gara e Berría. Dura poco più di due minuti, ed il comunicato viene letto in spagnolo e in basco (testo è comunque disponibile anche in francese e inglese). La voce del terrorista mascherato afferma chiaramente che l’organizzazione ha “deciso la cessazione definitiva dell’attività armata”. I comunicati dell’Eta sono ormai pezzi da  analizzare in laboratorio: ci sono specialisti nel ministero degli Interni che studiano la scenografia, gli atteggiamenti, la voce e le sue inflessioni, come si fa nei film. Infatti si sa che il lettore del testo è David Pla, lo stesso che lesse l’annuncio di cessate il fuoco nel settembre 2010. Dall’analisi si concluderà poi quale credibilità merita l’annuncio: perché sorprende che a volte se ne sia concessa tanta, soprattutto considerando che l’organizzazione terrorista non si è fatta problemi a smentire la parola data già parecchie volte. Un opinionista del Times si è spinto ad affermare che “Poca gente in Spagna crede a quel che l’Eta dice”.      

 

La stampa nazionale ed internazionale si è fatta portavoce dell’annuncio, sottolineando perlopiù che si tratta di una sconfitta della banda armata, grazie in particolare alla collaborazione tra la polizia e le istituzioni spagnole e francesi. Ed è vero che negli ultimi tempi sono stati incarcerati parecchi membri dell’organizzazione terrorista e sequestrati iteri arsenali: ecco perché alcuni sentenziano che l’“Eta si è arresa”.  

 

Anche se la notizia è di una tale rilevanza che verrebbe voglia di festeggiare, rimane più un fenomeno mediatico che sociologico. In piazza le cose stanno come il giorno prima. Ma cosa festeggiare poi? Ci vorrebbe forse un vincitore per farlo? E qui certo un vincitore non c’è, o non lo si percepisce con chiarezza. Leggo proprio su quel foglietto che convoca alla manifestazione del 22 che la soluzione del problema deve essere “Senza vincitori ne vinti, perché una pace giusta fa di tutte e tutti vincitori, di fronte al conflitto armato, l’imposizione e la discriminazione”. Che sia questa la chiave di lettura? E come faremo ad arrivare al perdono reciproco?

 

L’annuncio dell’Eta si apre appunto con un diretto riferimento ai colloqui di pace tenuti a San Sebastián. Un foro rifiutato da non pochi, che ha però avuto un qualificato sostegno internazionale (Kofi Annan, Gerry Adams, Bertie Ahern, Jimmy Carter, Tony Blair ed altri), e lo definisce come “un’iniziativa di grande trascendenza politica” per il conflitto basco. Difatti i terroristi seguono quasi alla lettera le conclusioni uscite da quelle conversazioni, e così annunciano la “cessazione definitiva dell’attività armata” e fanno un appello ai governi spagnolo e francese ad un dialogo per affrontare “le conseguenze del conflitto”. Perché il conflitto politico permane e ci sono questioni spinose da trattare, quali la situazione dei 700 e più detenuti in carceri di entrambi i Paesi e la presenza in territorio basco delle forze di sicurezza spagnole.

 

Se finalmente l’Eta manterrà la parola data, avrà lasciato dietro sé oltre 800 morti: per la maggior parte membri delle forze armate e della polizia, ma anche politici e comuni cittadini. E restano poi tante altre vittime e parenti dei morti, le cui ferite sono sempre aperte. Ecco un punto che il comunicato non affronta, e che tanti analisti ed osservatori segnalano come grave omissione. 

 

C’è gioia, sì, ma una gioia contenuta, serena, ancorata nella speranza che sia questa la volta buona in cui i terroristi si siano convinti che il dialogo democratico esclude necessariamente le armi. E manca un paso: la dissoluzione dell’organizzazione. Ecco perché, a chiunque lo si chieda, la risposta si ripete: ancora c’è tanto da fare.

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