Una solidarietà sinergica
Per il secondo appuntamento con L'arte di unire di mons. Petrocchi, una "lezione" su come infondere i valori universali nelle particolari situazioni sociali
Per mons. Petrocchi, vescovo di Latina-Terracina-Sezze- Priverno, occorre saper interpretare le trasformazioni culturali e le attese sociali per farsi sapienti mediatori delle istanze più autentiche che provengono dal contesto nazionale e mondiale. Un saper scrutare i segni dei tempi, con sguardo penetrante e un cuore aperto alla moltiplicazione delle forze, anche attraverso l’applicazione di concetti fisici, come quelli della «legge delle forze in campo» per una "fisica politica". Di seguito il brano, tratto da un discorso del prevosto del 2002, e contenuto nel libro L’arte di unire. Discorsi ai politici edito da Città nuova.
«A Voi, che rivestite compiti di autorità e di governo nelle istituzioni e nelle pubbliche amministrazioni; a Voi, che vi impegnate, a vario titolo, nella vita politica, sociale e sindacale auguro grazia e pace… in abbondanza nella conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro» (2Pt 1, 2).
«Nel compimento del vostro incarico… siete chiamati a servire, opportunità di vero progresso, personale e sociale.
«La pace, che siete chiamati a promuovere, non è solo assenza di conflittualità né sinonimo di semplice quiete relazionale: essa rappresenta, al contrario, la condizione-basilare per una moltiplicata creatività civile e la principale “fucina sociale” da cui vengono emesse iniziative tese al bene comune. Questa “pace laboriosa ed innovativa” (c’è sempre una genialità inventiva dove regna la concordia) esige da voi un solido equipaggiamento spirituale e morale. Infatti, per agire saggiamente, come uomini di governo, vi vengono richieste non solo competenze giuridico-amministrative ed abilità manageriali ma, prima di tutto e in tutto, l’esercizio di solide virtù, etiche e civili. Tra queste non possono non essere citate l’amore per la verità, il senso della giustizia, il rispetto delle leggi, l’onestà a tutta prova, la lealtà, la libertà da punti di vista troppo soggettivi, il disinteresse personale, la fedeltà alla parola data, la generosità coerente e la dedizione cordiale.
«Ciò comporta un lavoro su voi stessi che vi può consentire, nell’esercizio della vostra importante missione, di essere persone non arroganti e litigiose, né arriviste e autoreferenziali, ma sincere nelle parole e nel cuore, prudenti e discrete, generose nel servizio, capaci di suscitare fiducia e collaborazione, autorevoli senza essere autoritarie, sempre animate dalla sollecitudine per il bene comune e in particolare per la cura degli ultimi. Il bene di tutti, infatti, è sempre il bene di ciascuno; il bene di qualcuno, invece, se egoistico ed esclusivo, si dimostra sempre nocivo per l’interesse generale.
«In questo quadro virtuoso – spero non “virtuale” – sono convinto che una delle abilità più richieste a voi, cari Amici impegnati nella nobile arte del fare politica, sia la capacità di leggere correttamente le pagine – spesso confuse e contraddittorie – della storia in cui viviamo e, a partire da questa “intelligenza” degli eventi, saper ricavare linee di saggia progettualità, idonee a promuovere il progresso integrale della collettività e la piena realizzazione di ogni cittadino.
«Per fare questo, occorre saper interpretare le trasformazioni culturali e le attese sociali per farsi sapienti mediatori delle istanze più autentiche che provengono sia dalla popolazione come anche dal più ampio contesto nazionale e mondiale (…). Se si registrassero lentezze o insufficienze nel cogliere i sintomi di malessere sociale, se le risorse disponibili risultassero mal distribuite e poco mobili, se il coefficiente di conflittualità – e, diciamolo pure, talvolta di rissosità – determinassero, attraverso veti incrociati, blocchi operativi, se i vantaggi di parte prevalessero sul bene comune, se la logica perversa del “tanto peggio tanto meglio” si rivelasse vincente: allora davvero dovremmo predisporre gli animi ad affrontare un periodo di turbolenza sociale e fenomeni di arretramento in campo economico, civile, culturale.
«La riflessione sulla attuale configurazione sociale ed economica evidenzia l’urgenza di uscire da prospettive localistiche ed anguste per guadagnare punti di vista generali, che consentano la realizzazione di alcune grandi opere. Ci sono progetti specifici che si sviluppano in forma “longitudinale”, cioè organizzati in compartimenti diversi anche se contigui (cfr. spinte all’incremento del polo metalmeccanico-aeronautico, del settore chimico-farmaceutico, della filiera agro-alimentare, delle attività turistiche, dei dipartimenti universitari, ecc.). Ma ci sono anche interventi trasversali, che intersecano tutte le altre linee ideative ed operative. Realizzare queste opere significa porre le basi su cui poggiare l’attuazione di tutte le altre progettualità che vi si raccordano.
«Una di queste opere a carattere multivalente è costituita, a mio avviso, dal potenziamento delle infrastrutture e in, particolare, dal miglioramento della rete viaria e dal suo adeguato collegamento con la dorsale appenninica del sistema autostradale. E non dimentichiamo che la nostra è una Provincia giovane, nella quale i giovani chiedono attenzione e strutture adeguate alle loro esigenze formative ed aggregative.
«Si tratta di idee già da tempo avanzate e discusse, di urgenze identificate e pianificate ma anche di promesse fatte e non ancora compiute. So che vi state mobilitando e avete già messo in cantiere diverse iniziative per dare una risposta rapida e fattiva a tali ineludibili domande. Ve ne sono grato, e vi incoraggio vivamente a perseverare in questo impegno.
«Permettetemi di comunicarvi alcune mie congetture, che derivano dal tentativo – senz’altro maldestro – di applicare all’ambito politico alcuni principi ricavati dalla legge delle “forze di campo”, che regola il mondo fisico. Ne derivo alcune ipotesi di “fisica politica”, che potrebbero essere interessanti per ulteriori investigazioni. Quando su uno stesso punto si applicano vettori di uguale intensità ma orientati in direzioni opposte si determina, in genere, una paralisi deliberativa (la discussione si fa interminabile e non approda ad alcuna scelta concreta).
«Se i vettori, pur essendo contrari, dispongono di forze diverse (per cui c’è una spinta maggiore da un lato ed una minore dall’altro) i temi della polemica diventano sfibranti e i movimenti decisionali risultano rallentati o attuati solo per segmenti spezzati (l’opera intera rimane così incompiuta e resta depositata negli scaffali delle intenzioni impraticabili).
«Se i vettori sono mirati su obiettivi differenti, ma non diametralmente divergenti, il risultato più frequente è costituito dalla ricerca di accordi “intermedi”, che consentano lo scambio di favori e il raggiungimento di compromessi accettabili per le parti. Infine, se – lo volesse il cielo – i vettori pur partendo da posizioni diverse convergono su un medesimo obiettivo, le forze si sommano: in questa felice evenienza la meta viene raggiunta attraverso traiettorie dirette, con maggiore speditezza ed efficacia moltiplicata.
«Lascio a voi il compito di giudicare quale dei modelli teorici di “fisica politica” sia preferibile applicare per interpretare i risultati fino ad oggi conseguiti. Per quanto mi riguarda, è noto che sono un deciso sostenitore della necessità di arrivare, con passaggi accelerati e consensuali, all’adozione dell’assetto operativo connotato dalla solidarietà sinergica. Dunque: è urgente coalizzarsi per non disperdere; convergere evitando pericolose frammentazioni; autonomizzarsi sanamente per evitare dipendenze inopportune. Si tratta di misure necessarie per crescere come Provincia e non scadere al sotto-rango di colonia!
«Occorre, perciò, garantire l’adozione di strategie mentali “larghe”, capaci di coniugare punti di vista differenti e salvaguardare il primato dell’“intero” comprensorio. La logica del “tutto” deve precedere quella, pur legittima e necessaria, della parte.
«In sintesi: dobbiamo imparare sempre meglio a pensare e ad agire “da pontini”. Per questo direi che dopo la fase del leale confronto di prospettive diverse – emergenti da monitoraggi distanti ma non incompatibili – è necessario far maturare la stagione delle intese.Ciò comporta, come imperativo categorico, che non possono essere saldati e condizionati a convenienze “al singolare” questioni di vitale importanza per la collettività. Chi fa politica – scrive Giovanni Paolo II – «deve agire con disinteresse, cercando non l’utilità propria, né del proprio gruppo o partito, ma il bene di tutti e di ciascuno, e quindi, in primo luogo, di coloro che nella società sono i più svantaggiati»[1] .
«Per porre il bene comune prima del bene particolare, è richiesto a ciascuno il coraggio di oltrepassare i propri schemi mentali e comportamentali, per renderli veramente transitabili al confronto e aprirli ad un costruttivo dialogo. Occorre, di conseguenza, superare le resistenze provocate da pigrizie intellettuali, da logiche compartimentalizzate, da chiusure particolaristiche: in sintesi, da visioni a corto raggio, incapaci di superare la soglia dell’individuale e di spalancarsi sull’universale sociale, politico e culturale. Le conquiste, guadagnate grazie al superamento dell’approccio frammentato, rifluiranno positivamente su ogni settore. Il maggior bene di tutti, infatti, si riverbera sempre in beni-in-più per ciascuno.
«È essenziale, dunque, dare all’attività politica un’“anima di servizio”, tesa ad edificare il corpo sociale nella concordia e nella legalità, facendo la verità nell’amore (Ef 4,15). Capiamo bene che il discorso è complesso e non tollera indebite semplificazioni: gli approcci riduttivi risultano sempre ingiusti e sterili. Appare evidente, inoltre, che esistono fondate ragioni per sostenere, sulle stesse tematiche, ipotesi di lavoro diverse e apparentemente antagonistiche. È per questo che la vita democratica postula dialettiche ed accetta inevitabili tensioni.
«Ci sono infatti interessi simili, che si trovano a spartire risorse insufficienti per tutti, e affermano simmetricamente il proprio diritto e il proprio bisogno, in concorrenza con l’altro e non necessariamente “contro”. Ci sono poi interessi contrapposti che si escludono a vicenda, per cui la soddisfazione degli uni comporta la sconfitta degli altri. La pace quindi non può essere sognata nell’annullamento dei conflitti, ma nella costruzione paziente delle vie per la loro composizione, nella giustizia e nella solidarietà»[2].
«Proprio perché siamo limitati e i problemi spesso ci superano in dimensioni e complessità, è inevitabile che si generino zone di incomprensione e di attrito, che possono determinare confronti “abrasivi” e dichiarazioni urtanti. Ecco perché la pace sociale rivendica una «politica del perdono»[3]
[1] Giovanni Paolo II, Discorso al Giubileo dei Governanti e dei Parlamentari del Mondo (4 novembre 2000), n. 2.
[2] Cei, Commissione ecclesiale Giustizia e Pace, Nota pastorale Educare alla Pace (19 marzo 1998), n. 11.
[3] Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXXV Giornata Mondiale della Pace 2002 (8 dicembre 2001), n. 8.
[4] Ibidem, n. 3. Il perdono – ci ricorda il Papa – «si oppone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia. […], perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell’ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali»[4]. È questo vibrante appello che rappresenta il centro pulsante del Messaggio che mi accingo a consegnarvi».