Una sofferenza da bimbi e non solo…
Nel mese di aprile per la rubrica proponiamo due libri della collana Psicologia e benessere di Città nuova. Cominciamo con Mi aiuti a crescere?. Ogni processo di crescita può essere paragonato a quello di un bruco che vuol diventare farfalla. Ma quanta fatica costa e quant'è importante garantire sicurezze ai più piccoli?
I modi in cui i bambini esprimono la loro sofferenza e chiedono aiuto ai più grandi varia a seconda che si trovino dentro o fuori dalle mura domestiche. Il libro-novità di Città nuova dal titolo emblematico Mi aiuti a crescere. La fatica di diventare grandi, ripercorre le tappe necessarie perché ogni bambino acquisisca le proprie capacità e conquisti le nuove libertà. Partendo dai racconti e dal punto di vista dei piccoli sugli adulti, che più o meno consapevolmente possono diventare causa di sofferenza nel prendersi cura dei più piccoli, affrontiamo il tema della mancanza di sicurezza attraverso il racconto di Carlo, un bimbo di quattro anni.
«Sarà anche un posto carino e la maestra non sembrava male, ma io non ci volevo restare. E così ho cominciato a piangere come un disperato e sono riuscito a farmi riportare a casa… Non mi fido di stare lì. E se poi combino qualche guaio e la maestra lo dice a mamma? Quando la faccio grossa lei mi dice che mi porterà in collegio o che chiamerà i Carabinieri per farmi portare in carcere. Fino ad ora non lo ha fatto mai. Non ho nemmeno visto quell’uomo nero che lei dice che abita nel solaio… Ma se fosse vero?» (Carlo, 4 anni).
Il senso di sicurezza è un presupposto indispensabile per un bambino. Comincia ad “essere garantito” dai genitori, fin dai primi giorni di vita, proprio a livello corporeo: braccia stabili e forti che contengono il neonato lo fanno già sentire al sicuro. La certezza che se si piange, per fame o per sonno, qualcuno arriverà a “risolvere il problema” è un altro fattore, e così via…
A seconda della fase di crescita che si sta attraversando, il bambino ha diverse necessità. A circa otto mesi ha bisogno di essere rassicurato sulla presenza costante dei genitori, quando comincia a camminare ha bisogno di sentire la fiducia di potersi staccare dalle mani di chi lo sorregge, quando è più autonomo deve sentire che, se va da solo nell’altra stanza della casa, non gli succederà niente, quando andrà alla scuola dell’infanzia dovrà essere convinto che papà e mamma non lo lasceranno lì, ma lo andranno certamente a riprendere. Nell’affrontare il “mondo esterno” il bambino, in generale, avrà bisogno di sentire che a casa c’è una “base sicura” che lo accoglie e che infonde sicurezza in se stesso.
Noi genitori non siamo perfetti, abbiamo anche noi le nostre insicurezze, le nostre paure. È normale che esse esistano. Quando però avvertiamo paure eccessive o proviamo emozioni ambivalenti, il senso di sicurezza dei bambini viene minacciato. E così la pipì a letto o il balbettare, manifestazioni tipiche dei bambini di una certa età, non costituiscono più un momento di passaggio, una fase transitoria, ma diventano un “sintomo”.
È chiaro che c’è un livello fisiologico di ansia che circola in famiglia: è quello che fa stare papà e mamma all’erta sui probabili pericoli che un bambino incontra, e che permette al bambino di capire fin dove può spingersi e quando deve fermarsi. Ma se il livello di ansia diventa esagerato, le cose cambiano. La casa non è più un luogo sicuro, ma è fonte di insicurezze e paure. Un’ipocondria dei genitori sulla salute del bambino lo farà vivere con la sensazione che da un momento all’altro gli succederà qualcosa.
Ad esempio, la minaccia di alcuni genitori di mandare i figli in collegio, generalmente fatta durante un rimprovero, viene espressa perché non si ha abbastanza sicurezza per contenere il proprio figlio, e allora si pensa che un po’ di terrorismo psicologico forse potrà servire. Ma quelle parole si scolpiscono nella mente dei bambini e non vengono prese come uno scherzo. La paura che prima o poi verranno messe in atto, sarà sempre presente.I genitori, insomma, veicolano le emozioni che il bambino può provare.
Tutti noi abbiamo visto un bambino piccolo cadere. E sappiamo che c’è un momento di sospensione in cui il bambino si gira verso l’adulto e viene fortemente influenzato dall’espressione che si dipingerà sul suo volto. Il bambino che cade può piangere per il dolore, ma piangerà anche per paura se vedrà la mamma preoccupatissima corrergli incontro, e penserà: “Allora è successo proprio qualcosa di grave!”.Allo stesso modo, per situazioni più complesse, il bambino apprende che ci sono delle emozioni da provare e guarderà l’esempio dei genitori. La sofferenza di molti bambini all’interno delle mura domestiche è data proprio da questo tipo di emozione che si respira nell’aria.
In fondo è un’esperienza che possiamo comprendere benissimo, perché la proviamo anche da adulti. Se andiamo a fare una visita di lutto, entrando nella casa non ci meravigliamo di trovare visi tristi o smunti. Ci “predisponiamo” a questa situazione e proviamo anche noi lo sconforto e il dolore. Certo non entreremmo mai in quella casa ridendo, e non soltanto perché sarebbe sconveniente, ma perché, anche se non abbiamo conosciuto la persona defunta, in qualche modo ci rattristiamo per lei o per la sua famiglia.
Immaginiamo invece di entrare in un pub, e di trovare musi lunghi e facce scure… Ci chiederemmo senz’altro cosa è successo. Probabilmente cambieremmo locale. Ma se restassimo lì forse, dopo qualche minuto, anche il nostro viso comincerebbe a diventare “grigio”…E così se andiamo al cinema a vedere un film comico è difficile restare seri. Anche se per un qualsiasi motivo fossimo impossibilitati a guardare le immagini sullo schermo, ci sarebbero le risate della platea a contagiarci. Mentre per noi adulti queste esperienze sono episodi della vita che viviamo ma che non intaccano il nostro essere, per un bambino l’effetto è diverso: l’ossigeno emotivo che si respira in famiglia deve essere di buona qualità, perché tale componente è fondante e costitutivo della sua persona.
E questo è tanto più vero quanto più il bambino è piccolo, perché le sue sensazioni corporee non sono ancora influenzate dal pensiero o mediate dal linguaggio, ma sono “pure”. I bambini piccoli sono “spugne” in grado di assorbire tensioni e ansie, e restituiranno, divenuti adulti, a se stessi e alla società ciò che hanno “assorbito”. Va pertanto contrastata l’idea, purtroppo ancora comune, che i bambini piccoli “ancora non capiscono”, e che porta molti adulti a ignorare gli effetti del proprio umore su di loro. Garantire sicurezza è un primo tassello che allevia o riduce le sofferenze dei bambini.