Una società di anziani?

In un futuro non molto lontano saranno il gruppo più consistente, abiteranno un mondo meno frenetico e, magari, «più gentile, saggio e verde».

La popolazione umana conta sette miliardi di individui, quattro volte quelli di un secolo fa. E oggi sono in vita metà di quanti abbiano mai raggiunto i sessantacinque anni nel corso di tutta la nostra storia. A continuare così c’è da temere che il pianeta non avrà risorse sufficienti per la sopravvivenza del genere umano. Eppure la bomba demografica sta per essere disinnescata. È quanto afferma sulle pagine dell’Espresso Fred Pearce, consulente della rivista britannica New Scientist e noto studiosodi questioni ambientali. Diversamente da quanto sostenuto dai demografi, le società, per mettere un freno alle nascite, non hanno necessariamente bisogno di modernizzarsi e arricchirsi. In Bangladesh come in Italia. Anche nel poverissimo Paese asiatico le donne hanno iniziato a mettere al mondo meno figli.

 

Dobbiamo allora supporre che i bambini saranno presto «una specie sempre più rara, esotica e curiosa»? In effetti, a garanzia di una corretta distribuzione dei nuovi nati ci sarebbe l’aumento del flusso migratorio, dovuto certamente ai differenziali di reddito nel mondo, ma ancora di più alla forbice creatasi tra Paesi occidentali e Paesi in via di sviluppo relativamente agli attuali tassi di fecondità. «Quando ci sono Paesi con oltre sei figli per donna e altri con poco più di uno – scrive Peirce –, l’import-export di esseri umani rappresenta una logica valvola di sicurezza per entrambi». Si tratta di aspettare che i migranti, oggi alle prese con lavori pagati una miseria, abbiano col tempo la possibilità di avvicinarsi a professioni specialistiche, poi la terra troverà un nuovo equilibrio. Già si intravede un futuro a bassa natalità e bassa mortalità. «Si apprestano a ritornare in scena gli “anziani della tribù”». Saranno loro a costituire il gruppo più consistente della società e ad abitare un mondo meno frenetico e, magari, «più gentile, saggio e verde».

 

Uno sguardo certamente meno apocalittico di quello che accompagna gli usuali commenti ai trend demografici del nostro pianeta. Non fosse per un’immagine triste che fa capolino tra le grandi speranze di Pearce. «Soltanto pochi anni fa, chi fosse entrato in un bar italiano si sarebbe trovato in mezzo a bambini chiassosi; mentre oggi incontrerebbe solo adulti che bevono un caffé, tra i quali molti uomini e donne in giovane età, che un tempo sarebbero stati attorniati da figli». Anche a non tener conto dei dubbi circa l’eventualità che gli anziani della tribù possano costituire un gruppo più saggio, almeno a giudicare da quello che accade ogni giorno sotto i nostri occhi e senza dover scomodare il “vecchio malvissuto” dei Promessi Sposi, sorprende l’immagine, così radicata nella nostra società, di bambini chiassosi che sembrano quasi disturbare i grandi, tutti presi a interrogarsi sulle sorti del mondo.

 

I bambini, ben prima di essere chiassosi, sono il nostro futuro: esso sarà migliore, forse, se anche loro saranno migliori e, cioè, se sarà migliore la società nella quale vivranno. L’idea tranquillizzante per Pearce di un mondo molto diverso ma non sovrappopolato nasconde le sperequazioni sociali del nostro pianeta, procrastina il destino di una società che tenta costantemente di riequilibrarsi su flussi economici ritenuti immodificabili. Se le risorse della terra devono rimanere abbondantissime nelle mani di pochi e ai limiti della sopravvivenza nelle mani di tanti, meno figli sono soprattutto la conseguenza di un mercato statico, senza variazioni di flussi e soprattutto di attori. Gli stessi migranti non sembrano avere altra chance se non quella di diventare medici e avvocati. Forse abbiamo deciso di mettere al mondo meno figli, ma questo non significa che ne siamo felici. Né che ciò si traduca necessariamente in un progresso sociale.

 

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