Una scelta per il vivere civile
Gli emendamenti al decreto sullo scudo fiscale hanno esteso la copertura ai capitali frutto di guadagni illeciti. Ma permettere di acquistare il diritto a violare la legge significa mettere in discussione il patto sociale.
Nel precedente editoriale mi ero soffermato su come lo scudo fiscale sia a tutti gli effetti un condono, con le relative inefficienze: più lo si usa, meno è efficace, tanto è vero che il gettito è sempre inferiore alle aspettative.
Non dimentichiamo poi i costi nascosti di tali provvedimenti, che non rientrano nei calcoli presentati dal governo: inviando ai cittadini il segnale che chi evade le tasse è il più furbo, si intacca la loro disponibilità a pagarle. Il rischio di perdere con ulteriore evasione futura più di quanto si sia incassato grazie allo scudo è dunque concreto.
L’aspetto più preoccupante, tuttavia, è che la nuova versione del decreto legge tocca non solo chi ha evaso le tasse per guadagni leciti, ma anche i capitali frutto di operazioni che lecite non sono, come le false fatturazioni o i fondi neri all’estero. Un invito esplicito a compiere reati fiscali, peraltro già depenalizzati. Quanto valgono dunque questi soldi rispetto all’evasione che stiamo incoraggiando, sia dal punto di vista morale che da quello economico?
È di oggi la notizia che sono finiti sotto la lente della Guardia di Finanza quattro presunti grandi evasori, per un totale di quasi mezzo miliardo di euro: un sesto dei tre miliardi che ci si aspetta di raccogliere dallo scudo, senza costi nascosti e con i benefici di un segnale morale forte lanciato dallo Stato. Siamo chiamati a una scelta radicale tra due diversi modelli di partecipazione civile: giustificare gli evasori pur di recuperare il 5 per cento dei capitali o combattere l’evasione?
Le leggi non si rispettano soltanto per paura della sanzione, ma prima di tutto per il loro valore. Concedere di acquistare il diritto di violarle significa mettere in discussione lo stesso patto sociale su cui si fonda il vivere civile.