Una scalata memorabile
Il contributo di un nostro lettore, vincitore del concorso "Narrare il Lazio".
Ci siamo lasciati Fontana alle spalle, ier l’altro. Erano le sei del mattino quando abbiamo preso a salire la lunga dorsale dei Colli Albani. Davanti a noi, la scura massa del Monte Cavo, coperto di verdi boschi e nascosto dalle nuvole. Mio fratello ed io, due impiegati cinquantenni in bicicletta con una meta: raggiungere il Santuario della Mentorella nel mezzo dei Monti Prenestini. Senza fretta, adagio come si conviene a una certa età, ma con l’ostinata determinazione di chi ha deciso di compiere un’impresa. Da cento a milleduecentocinquanta sul livello del mare. Non male, per due ciclisti della domenica. Ma ce la siamo studiata. Da tre mesi. Un po’ di fondo, un po’ di salite per affrontare senza traumi l’ascensione. Le biciclette sono di quelle buone, da corsa. Tutto è stato programmato con cura. C’è un sapore e un piacere antico nel preparare le bici per l’escursione. Poi passiamo a cerchiare sulla mappa i punti di sosta e di ristoro. Così ci immergiamo nel territorio prima ancora di transitarvi. Si familiarizza con i nomi delle località, si evidenziano le altimetrie, il disegno tortuoso della strada, i primi contrafforti dei monti, i tanti tornanti che ci faranno soffrire, ma anche regalare splendidi scorci sulla pianura, fino al mare.
Sudore, fatica e felicità. Di andare. Questo è il viaggio. Quello che la strada la senti per davvero, mica come con l’automobile…. Con la bici il viaggio te lo guadagni, lo fai tuo e per qualche giorno ancora, una volta concluso, te lo senti nelle gambe e nella testa. Così lasciammo Fontana ieri l’altro e subito ci trovammo su una stradina che saliva tra ampie campagne, a Monte Giove, tra vigne, ulivi e casolari, sulla pedemontana dei Castelli Romani, a mezza costa tra il mare e la dorsale dei Colli Albani. Subito Genzano, poi lo specchio di Diana, la Diana Nemorense del Ramo d’Oro, e Nemi, la Nemi delle fragole. Fin qui tutta salita, bella e suggestiva; nel tratto che sale da Genzano poi, sovrastata da imponenti castagneti.
Un caffè nel bar della piazzetta, a Nemi, davanti alla fontana, è la prima sosta. Ora ci attende uno strappo, fino ai Pratoni del Vivaro. La strada si immerge nei castagni e il profumo del bosco, ti inebria, quasi ti stordisce. Poi si scavalla, ovvero la salita si trasforma in piano. Larghi prati, verdi di erbetta prendono il posto delle scure masse dei castagni e delle querce. L’orizzonte si apre e solo il fianco allungato del Monte Artemisio impedisce all’occhio di scorrere il pendio per correre giù, fino a Velletri. Ma la meta è oltre, oltre le vaste distese dove il bestiame brado pascola e si trastulla indolente. La meta è oltre. Bisogna affrontare la valle e oltrepassare la minuscola Carchitti, regina delle pesche, nell’estate. Quando risaliamo siamo già in vista di Palestrina. Ce lo conferma l’imponente tempio della Fortuna Primigenia. Altra sosta. Siamo alla base di un nuovo strappo, stavolta più ambizioso, questo ci porterà su, a Capranica. Al bar dove ci fermiamo un tizio ci guarda con curiosità, poi si fa avanti e chiede: «Da dove?» «Da Fontana di Papa» «Però…! E dove andate?» «A Guadagnolo…poi alla Mentorella» «Un bel coraggio…!».
La salita è dura. Il paesaggio diventa a ogni tornante più aspro, più selvaggio, compare la roccia, Qualche rara casupola al margine della strada si staglia sul fianco della montagna nel suo rivestimento in pietra. Ecco Castel San Pietro col bel campanile aguzzo. E dopo, via! Su a Capranica, prima del grande balzo. Siamo ben oltre la metà della mattina. Appena sulla piazza scendiamo dalle bici e ci troviamo circondati da ragazzini. Tante domande. «Da dove?» «Da giù, dal mare» «Ehhhh!». Risate, complimenti, incoraggiamenti. «E adesso?» «Adesso si va su, a Guadagnolo e poi alla Mentorella» «Ehhhh!».
Affrontiamo la parte più tosta. Da qui fino a Guadagnolo è senza respiro. Non spiana mai, stai sempre sui pedali a tirare. E ti godi la montagna. La senti tua, pedalata dopo pedalata. Gli abeti sembra ti guardino sbigottiti, alti e superbi. Le querce invece fanno scendere le fronde fin quasi a sfiorarti, come volessero darti una mano. E dai uno sguardo… giù nella piana…che sembra il mondo, che sta sotto di te, fino al mare, nascosto da una nebbia azzurrina, quasi grigia.
Arriviamo sulla piazza di Guadagnolo alle due passate. È stata dura! Mi sarei aspettato la banda ad accoglierci. Entriamo in un bar per mangiare qualcosa. «Ehhh ne vengono di ciclisti quassù, tutti i giorni…» E io che credevo…! E allora va bene anche un bicchiere di vino genuino e un bel panino con prosciutto, per una degna conclusione. E dopo, mentre si torna giù, un po’ più in basso, ci fermiamo alla Mentorella. C’è la grotta di San Benedetto e la rupe che si apre sulla vallata. Lì tra i bianchi calcari, gli odorosi mirti e i pini la bellezza ti corre incontro da tutte le parti. E allora senti che quella giornata l’hai fatta tua e non la scorderai più…per tutta la vita.