Una rinuncia per amore
Ha ancora senso, nel 2017, essere vergini?
Luca – Piacenza
La sessualità è un dono che ognuno riceve alla nascita. È un linguaggio che esprime questo dono e manifesta tutta la persona. La sessualità è il modo del maschio, dell’uomo, di manifestare tutto sé, e il modo della femmina, della donna, di manifestare tutta sé. Ne deriva che l’essere maschio e femmina comporta non solo l’essere (nota bene l’essere, non l’avere) un corpo maschile o femminile, ma anche modalità differenti di vivere ed esprimersi. Anche chi, per scelta o vocazione, decide di rimanere celibe o vergine, senza esercitare la propria genitalità – come nel caso di sacerdoti, suore, consacrati e consacrate –, esercita comunque la propria modalità sessuale nell’amare tipico dell’uomo e della donna. L’unico aspetto della sessualità che i consacrati e le consacrate non esercitano è quello fisico, genitale. Questa “rinuncia” però non è segno di particolari problematiche fisiche o psicologiche, ma di apertura a un amore più grande.
La rinuncia a genitalità e fecondità fisica, infatti, sarà foriera di fecondità e di amore spirituale, a servizio di tutta l’umanità, che li rende padri e madri spirituali di tanti.
Questa “rinuncia” ha esattamente la stessa logica di chi si sposa: avviene per amore. Un amore verso Dio, che attira l’essere umano in una donazione completa e dà la forza e la grazia per corrispondervi.
L’amore che ha attratto i consacrati verso Dio diventa, nella loro fedeltà rinnovata, fecondità verso i fratelli e testimonianza di una intimità amorosa con Cristo. Per questo motivo chiamiamo “padre” un consacrato realizzato e “madre” una consacrata realizzata. Sono padri e madri di anime, in una donazione che tutti noi sposati dovremmo ammirare.
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