Una riforma adeguata alla società e alla democrazia

Le costituzioni devono corrispondere ad un corpo sociale. Il Paese ha bisogno di una democrazia capace di decidere senza restare impantanata nelle sabbie mobili del bicameralismo paritario basato ancora sulla forza, ormai scomparsa, dei partiti di massa. Non c’è il rischio di una concentrazione di poteri in capo al premier e vengono rafforzati gli strumenti di partecipazione diretta
Ansa renzi boschi

Le forme istituzionali sono come il vestito. Non c’è quello buono in tutte le stagioni e in tutte le occasioni. Soprattutto va adattato al corpo che cambia col tempo. Magari quello bello, può calzarci male dopo una dieta, o non entrarci proprio dopo aver preso qualche chilo. Le costituzioni democratiche sono efficaci quando corrispondono al corpo sociale. E la società col tempo cambia e le forme vanno adattate.

Il tempo in cui nacque la nostra costituzione vedeva un’Italia accomunata dalla fame, dal lavoro manuale, dalle famiglie “larghe” e il popolo in maggioranza analfabeta. Da allora, l’Italia è passata da una economia contadina, a industriale e a quella dei servizi. Ma oggi siamo nel tempo globalizzato dell’istantaneità della comunicazione virtuale che ha effetti sull’economia e la vita democratica.

 È evidente che il vestito istituzionale ha qualche difficoltà e va riformato nella seconda parte.

 

Solo dal 2006 al 2016 in Italia ci sono stati sei governi, contro i tre della Germania, Francia e Gran Bretagna. Soprattutto, da troppo tempo si governa (tutti i colori politici l’hanno fatto) aggirando le regole e mortificando la Costituzione con decreti omnibus, maxiemendamenti e fiducie a ripetizione. È urgente una riforma che sintonizzi le necessità pratiche, di scelte governative rapide e controllabili, con la forma costituzionale.

 

Che la costituzione del ’48 sia stata congeniata per evitare che qualcuno potesse avere la piena responsabilità del potere era tra gli obiettivi dei costituenti.Dossetti nel 1951 così descriveva la nuova carta: “Questo sistema … è stato strutturalmente predisposto sulla premessa di un contrappeso reciproco di poteri e quindi di un funzionamento complesso, lento e raro”.  Il motivo dell’esclusione di norme costituzionali di protezione dalle degenerazioni del parlamentarismo furono argomentate da Giorgio Amendola nella costituente: “non è possibile ricercare la stabilità in accorgimenti legislativi…  c’è il fatto nuovo e positivo della formazione dei grandi partiti democratici … oggi la stabilità è … affidata all’azione dei partiti politici”. La scelta di non dare meccanismi costituzionali di funzionamento e di decisione al parlamento e al governo era fondato sul potere dei partiti, a cui era stato demandato il reale governo del sistema politico italiano e la responsabilità del funzionamento democratico delle istituzioni.

 

I partiti di massa avevano dato prova di grande abilità ed erano reali punti di riferimento. Quando l’8 settembre del ‘43 il re fuggì e l’Italia si spappolò, i partiti si sostituirono ai poteri pubblici, facevano funzionare i servizi e si legittimarono con la guerra contro il fascismo, con più di due milioni di iscritti, con la scelta della Repubblica e per la costituente. Per questo tutta la vita democratica fu consegnata a questi soggetti popolari privati.

 

La Germania, che pure come l’Italia usciva dalla dittatura, dilaniata al suo interno dalla sconfitta della guerra e dalla contrapposizione ideologica, aveva scelto la forma parlamentare di governo, inserendo in costituzione gli accorgimenti di una democrazia funzionante. Adottò meccanismi di controllo, stabilità e decisione: monocameralismo (solo il bundestag da la fiducia al governo), un termine entro il quale dare la fiducia al governo, il potere di revoca dei ministri da parte del cancelliere e sbarramento al 5% ai partiti per entrare in parlamento.

 

Il sistema istituzionale italiano, non a caso denominato partitocratico, ha funzionato fino agli anni settanta, pur con cadute, contraddizioni e perfino eventi tragici. Dopo l’assassinio di Aldo Moro comincia la crisi inesorabile di legittimità dei partiti di massa, che si conclude con tangentopoli di inizio anni novanta.  Da quel momento la crisi istituzionale viene sopperita dall’inedito (incostituzionale?) interventismo politico dei presidenti della Repubblica: Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, chiamati a tappare con il ‘senso dello stato’ le falle sistemiche aperte con la fine dei partiti, che si manifestano con il moltiplicarsi dei voti di fiducia, il crescere dei voti segreti, il susseguirsi dei decreti legge e dalle finanziarie fatte di un solo articolo e migliaia di sub-articoli. Con la fine dei partiti di massa la costituzione rimane orfana del suo principio ordinatore.

 

In Italia il bicameralismo perfetto (unico paese europeo e forse mondiale), le differenti leggi elettorali per formare i due rami del parlamento, la fiducia che ogni camera deve dare, l’assenza di un termine entro il quale esprimerla, pongono l’esecutivo in perenne instabilità. E senza più grandi partiti che governano l’assetto istituzionale complessivo, con l’avvento dei partiti personali, il parlamento si è trasformato in una arena di continue trattative e compravendite, anche di singoli senatori e deputati, come la cronaca giudiziaria ha dimostrato. Ma questo è frutto di meccanismi costituzionali (oltre che di degenerazione etica), di un vestito che non è più adatto al corpo politico, che si è trasformato. Fuori di metafora, scomparsi i grandi partiti popolari a cui i costituenti (lungimiranti?) avevano consegnato le chiavi della democrazia italiana, è necessario oggi ridare un minimo di sintonia tra la domanda di una democrazia decidente e controllabile dal parlamento e le procedure formali di legalità costituzionale.

 

Una delle obiezioni sollevate dagli oppositori alla riforma riguarda la concentrazione di potere del presidente del consiglio. È vero che ne avrebbe più potere di quello attuale, ma ne ha comunque meno del cancelliere tedesco, del premier inglese e di quello spagnolo, perché non ha il potere di revoca dei ministri. E non possiamo dire che la qualità democratica di questi Pesi sia inferiore a quella italiana, ma sottrae la stabilità e il governo ad un sistema partitico che non è più in condizione di svolgere la funzione che aveva nel dopoguerra, e la affida al parlamento mediante la regola costituzionale.

 

Inoltre, un’ulteriore limitazione al suo potere viene dalle nuove forme di partecipazione popolare alle decisioni politiche che rompono il monopolio della legge da parte della maggioranza parlamentare e del governo, mediante i referendum propositivi, l’obbligo di esame del parlamento sulle proposte di iniziativa popolare, nonché  “altre forme di consultazione delle formazioni sociali” nel processo legislativo.

 

Certo, nessuna carta costituzionale può funzionare se non ci sono classi dirigenti all’altezza. Tuttavia, anche Bolt per vincere l’oro ha bisogno di una pista e non di sabbie mobili. Le costituzioni sono congegni complessi e nessuno può dirsi certo che funzioneranno. E ciò che abbiamo evidenziato non è che un aspetto del quadro, seppure centrale.

 

Pertanto il confronto civile, argomentato, capace di rispondere alle argomentazioni degli altri è essenziale per scegliere con consapevolezza e senza pre-giudizi. Dal punto di vista degli argomenti esposti, è paradossale vedere che i principali gruppi politici antipartitocratici sono i più accaniti difensori della centralità dei partiti nella vita istituzionale, su cui si regge l’attuale costituzione nella distribuzione dei poteri.

 

E in un tempo in cui la democrazia interna ai partiti latita c’è molto da preoccuparsi a lasciare la guida del Paese a soggetti ormai personalizzati.

Lì si annida il vero doppio pericolo: del tiranno e dell’inefficienza democratica.

 

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Questo articolo esprime l’opinione personale di chi lo ha scritto. Città Nuova ha deciso di dare spazio ad un dialogo aperto ed esigente tra i sostenitori del SI e del NO in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre secondo il criterio espresso in questi articoli.

http://www.cittanuova.it/c/458365/Divisi_verso_il_referendum_Appello_ad_un_voto_consapevole.html

http://www.cittanuova.it/c/458287/Il_referendum_alle_porte_Continuiamo_il_confronto.html

Ascoltando l’invito all’unità del Paese come espresso dal Movimento politico per l’unità in Italia

http://www.cittanuova.it/c/457053/Referendum_No_allo_scontro_tra_guelfi_e_ghibellini.html

 

Ovviamente anche le interviste rientrano fisiologicamente nella finalità di offrire un approfondimento nell’ascolto delle ragioni del SI e del NO.

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