Una questione di precedenza

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Anche se si esprime con la pacata cadenza svizzera – e svizzera lo è solo al 50 per cento -, si intuisce un temperamento determinato. Helen, laureata in economia aziendale, è figlia di inglesi trasferitisi nella Repubblica Elvetica per motivi di lavoro. I capelli biondi e gli occhi trasparenti sottolineano la sua provenienza nordica. “Sono cresciuta in un piccolo paese dalla mentalità un po’ chiusa – mi racconta – e forse per questo fatto, o forse per la grande apertura d’animo di mia madre, fremevo nel dovermi adattare ad una vita fatta solo di piccole cose e sognavo di evadere al più presto da quell’ambiente. La vita di Gesù che leggevo sui vangeli mi mostrava orizzonti più ampi, mi parlava di un’avventura spirituale nella quale coinvolgere tutta la mia vitalità. “Un giorno, un bellissimo giorno – ero ancora adolescente – ho conosciuto delle giovani che si dissero “del focolare”: un avvenimento che in breve tempo ha determinato in me un impegno profondo nell’ideale di unità che scoprivo. Mi ci sono buttata con tutto l’entusiasmo: a scuola, con gli amici, nel gruppo di Azione cattolica che animavo. Ma in fondo all’anima incominciavo a sentire qualcosa che mi attirava e spaventava contemporaneamente: erano i prodromi di una chiamata radicale? “Vieni e seguimi, vieni e seguimi “… Era affascinante per la mia anima assetata di cose grandi. Ma era illusione o vera chiamata? Ricordo che ogni sei mesi circa questa “crisi esistenziale” – chiamiamola così – bussava alla mia porta, ma non sapevo darmi una risposta…”. Intanto nasce l’Economia di Comunione (vedi Città nuova n. 2/2002). Helen, che deve completare gli studi, decide di specializzarsi in economia aziendale, per contribuire ad influenzare in modo evangelico, là dove possibile, la mentalità spesso egoistica del mondo del lavoro. “Finiti gli studi – prosegue il suo racconto – mi sono candidata per uno stage all’estero e il computer ha scelto per me il Kazakhistan. Non sapevo neppure dove fosse! Ho deciso di accettare pur non sapendo che cosa mi aspettava. Era il novembre del ’94 e mi sarei dovuta fermare almeno sei mesi. “In realtà quella si è rivelata un’esperienza basilare per la mia vita; ma non tanto in campo economico quanto spirituale! Arrivata ad Almaty, la capitale di allora che contava più di un milione di abitanti, mi sono accorta che esisteva una sola chiesa ortodossa e una moschea islamica, testimoni, nella loro unicità, del gelido vento ateo che per anni aveva avvolto l’Unione Sovietica, in quella terra di lager e di purghe staliniane che era il Kazakhistan. Solo dopo tre settimane di ricerche ho trovato, fuori città, a 10 chilometri circa da dove abitavo, una piccola casa di le- gno trasformata in chiesetta cattolica, dove si celebrava la messa una volta la settimana in lingua inglese. “La vita ad Almaty era molto dura: otto ore al giorno in banca, non avevo amici, lunghe file per comperare il necessario per vivere, il bucato si doveva fare a mano, niente gas per cucinare, il telefono non funzionava mai quanto serviva… In compenso sempre tanto gelo e tanta neve. “Finché un giorno la neve e il gelo, questa volta spirituale, hanno invaso a tal punto la mia anima da avvolgerla tutta in una morsa di solitudine e di nostalgia. Mi sono incamminata verso la chiesa di legno per riempire colla preghiera la grande tristezza che mi invadeva; ma quando sono arrivata la porta era sprangata. Mi sono sentita veramente sola. “Avevo letto e sentito parlare di Gesù che sulla croce grida al Padre il perché del suo abbandono, e in quel momento lo sperimentavo come mai prima. In quell’abisso fra cielo e terra, sia pure in proporzioni infinitamente più piccole, c’ero anch’io…”, Tornata in Svizzera, Helen riprende con rinnovato vigore l’impegno fra le giovani dei Focolari, anche se si sente ormai diversa. La misura del dono di sé è cambiata, come lei stessa racconta: “Mi sono messa a vivere il vangelo con una totalitarietà nuova, e non mi importavano più di tanto le mie preferenze su questa o quella cosa se, per amore verso gli altri, mi era chiesto di cambiare. Mi sentivo pronta a svolgere qualsiasi cosa e le occasioni non sono mancate. A volte, nella mia vita sempre piena di impegni, ho dovuto perfino cambiare programma quattro volte in una serata! Sperimentavo una libertà insolita, e mi sembrava di volare più che di camminare”. Le porte erano ormai aperte: Helen vuole seguire Gesù in modo radicale nel focolare. Certo, questo sì a Dio all’apparenza sembra un decisivo cambio di rotta, un gettare la spugna proprio in quel campo dell’economia che l’aveva tanto attirata. Ma non è così. Seguirà il marketing e la contabilità di una piccola azienda di pasta alimentare legata all’Economia di Comunione. E, in parte, collaborerà anche nell’impastare concretamente la farina. “Sono presto diventata più sensibile a cogliere quello che poteva ostacolare il rapporto fra di noi impiegate e operaie, e a posporre le obiezioni che la mia precedente formazione nel campo aziendale mi suggeriva, aspettando il momento opportuno per offrirle agli altri come un dono. Spesso non mi è stato facile, perché non riuscivo subito a conciliare l’aspetto spirituale con quello pratico; ma ho dovuto costatare che veramente a volte le mie compagne di lavoro avevano una visione dell’azienda più profonda della mia e che questa, in definitiva, risultava anche più produttiva perché faceva calcolo della presenza di un “direttore” che sapeva meglio di noi cosa necessitasse. Si sono stipulati infatti due contratti con società di importanza nazionale che da quel momento hanno consolidato la nostra ditta, dandole una base di sicurezza e di continuità di produzione”. Helen, che attualmente si trova a Loppiano, la cittadella italiana dei Focolari, lavora alla “Fantasy”: articoli di arredamento per la prima infanzia. La vedo dietro un grande tavolo con in mano un paio di forbici, mentre due ragazze, evidentemente alle prime armi, seguono le sue direttive. Le chiedo se anche in questo ambiente da media industria, tra pupazzi e trapuntine, si senta a suo agio, perché in fondo avrebbe una preparazione da manager. Sorride: “Intanto ho imparato a cavarmela in tante situazioni concrete che mi aiuteranno a capire i lavori in serie come spesso è anche il nostro; poi in questi due anni ho avuto l’opportunità di collaborare con persone provenienti da diverse culture e questo ha allargato la mia mentalità. “Come puoi immaginare, in un lavoro come il nostro spesso possono succedere anche degli inconvenienti, degli sbagli fatti magari per incompetenza da parte delle nuove arrivate, di apparenti perdite di tempo per dare spiegazioni: quasi nessuna infatti ha esercitato prima un’attività di questo genere e, dopo il periodo di Loppiano, magari non la eserciterà mai più. “Intanto però il lavoro va imparato, e bene, perché è quello che ci dà da vivere, e va anche quasi subito trasmesso alle altre che ci sostituiranno… “Non è mai troppo esercitarsi sul “come” anziché sul “cosa” si fa, non ti pare? È come “un valore aggiunto” che mi servirà per la vita”.

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