Una Quaresima per migliorare
Sono giorni che qualcuno della redazione della rivista Città Nuova mi ha chiesto di scrivere un breve testo sulla Quaresima. Forse, ci riuscirò ma faccio fatica; mente e cuore sono pieni di situazioni che vedo o ascolto e ogni volta che mi metto al computer nasce la domanda: «Ti limiti a sentire le vicende delle persone, le loro gioie, il loro pianto, o vivi con loro e per loro?». Chiedo la grazia di PREGARE con le parole che Gesù ci ha insegnato e avere un cuore purificato e dilatato per VIVERLE così da riuscire a scrivere qualcosa di utile e, spero, di saggio.
«Invito ogni comunità cristiana a fare questo – scrive Francesco nel Messaggio per la Quaresima 2024, “Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà” –: offrire ai propri fedeli momenti in cui ripensare gli stili di vita; darsi il tempo per verificare la propria presenza nel territorio e il contributo a renderlo migliore. Guai se la penitenza cristiana fosse come quella che rattristava Gesù. Egli dice anche a noi: “Non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano” (Mt 6, 16). Si veda piuttosto la gioia sui volti, si senta il profumo della libertà, si sprigioni quell’amore che fa nuove tutte le cose, cominciando dalle più piccole e vicine. In ogni comunità cristiana questo può avvenire» (mie le sottolineature).
Da questo breve passaggio che mi sta aiutando nella vita e nel ministero, vorrei trarne delle riflessioni che condivido a mo’ di verifica.
Ripensare gli stili di vita; presenza nel territorio; contributo a renderlo migliore, sono elementi che convivono; sono aspetti che dovrebbero essere guardati insieme, anche perché coesistono nella medesima persona. Appunto, persona. Purtroppo il concetto di persona è usato più con il significato di individuo concentrato solo su sé (la dittatura dell’io) che nella prospettiva trinitaria dove si sceglie di vive con, per e negli altri (che sarebbero, poi, fratelli e sorelle in Cristo Gesù, e non estranei o concorrenti e nemici). La persona sceglie di vivere e agire in un territorio cercando di capire – perché non è autonomo dalla comunità familiare ed ecclesiale – come attuare le priorità del Vangelo rendendo visibile il “Regno di Dio”, in germe e nelle (inevitabili) contraddizioni della realtà.
Non è assolutamente evangelico avere atteggiamenti virtuosi solo per enunciazioni, che non risultano incisive sul versante dell’esistenza, né individuale né sociale o ecclesiale. Come sarebbe importante verificare, di tanto in tanto e non in una modalità individuale o élitaria, se siamo caduti nel rimprovero di Gesù agli scribi e ai farisei: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno» (Mt 23, 3)! Lo “spirito del mondo” esalta chi ha buone intenzioni, ma evita di mostrarne le opere giornaliere. Sulla scia di come agisce Gesù, devono andare insieme parole e gesti; non può educare efficacemente chi separa questi due elementi. Una domanda: scelgo di essere e diventare una persona o preferisco essere concentrato unicamente o primariamente su di me e sui miei diritti individuali?
Permettetemi una seconda sottolineatura come revisione di vita quaresimale; la traggo da un passaggio del commento alla parola di Vita di marzo: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 51[50],12): «Davide. Egli, chiamato da Dio a prendersi cura del popolo di Israele e a guidarlo sui cammini dell’obbedienza all’Alleanza, trasgredisce la propria missione: dopo aver commesso adulterio con Betsabea ne fa uccidere in battaglia il marito, Uria l’Ittita, ufficiale del suo esercito. Il profeta Natan gli svela la gravità della sua colpa e lo aiuta a riconoscerla. È il momento della confessione del proprio peccato e della riconciliazione con Dio».
Quale coraggio e intelligenza ha avuto il profeta nell’ammonire Davide manifestandone i peccati tramite una storia emblematica di ciò che doveva dire al re.
Ma anche, quale umiltà ha avuto il re Davide nell’accettare la denuncia di un suddito e manifestare un concreto pentimento! Ma io, sento così fratello o sorella chi sta sbagliando da avvisarlo (con benevolenza) dei limiti e peccati? E di più, sono disposto ad accettare le correzioni anche se mi giungessero in modo inatteso e, forse, ingiusto?
Quando ci si sente così fratelli e sorelle e non estranei, né superiori o sottomessi, si può sperimentare quanto scrive Francesco nella seconda parte del testo iniziale: «Si veda piuttosto la gioia sui volti, si senta il profumo della libertà, si sprigioni quell’amore che fa nuove tutte le cose, cominciando dalle più piccole e vicine. In ogni comunità cristiana questo può avvenire»… Vorrei chiedere a Dio che ci insegni come realizzare la profezia di una comunità cristiana dove vivendo l’Unico Maestro (cf. Mt 23, 8) non ci facciamo chiamare “guide” perché solo Lui lo è (cf. Mt 23, 10).
Una comunità grata al Signore che «ci ha amato fino alla fine» (cf. Gv 13, 1).
Una comunità che chiede la grazia di amare le sorelle e i fratelli che non Lo avessero incontrato – «Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annunciassi il Vangelo!» (1Cor 9, 6) – e i discepoli che «sono tornati indietro e non sono andati più con lui» (cf. Gv 6, 66).