Una “Passione” per il dialogo

Mercoledì delle ceneri. Mentre entravo al cinema per la prima visione del film La passione di Cristo con un mio collega ebreo, notando quella traccia di cenere sulla mia fronte mi ha detto: Mi sento un po’ impacciato. Questo è un giorno sacro per te, e questa è la tua storia sacra. Non ho risposto subito, ma il motivo principale che mi aveva spinto a vedere quel film era una certa preoccupazione per certi suoi presunti toni antisemiti. Volevo sapere cosa lui pensasse. Durante il film gli ho bisbigliato all’orecchio qualche spiegazione riguardo a ciò che notavo come omissioni nella narrazione. E il mio collega mi ha chiarito alcuni punti quando l’aramaico ed i sottotitoli in inglese non andavano troppo d’accordo. Ben presto mi sono accorta che il mio amico aveva ragione: ero totalmente presa dalla mia storia sacra. Quelle immagini erano per me sufficienti per collegarmi con la vita e gli insegnamenti di Gesù, fino al culmine della passione. E conoscendo la dottrina sulla Trinità, come profonda unità tra le tre divine persone, quelle immagini riuscivano ad esprimere la profondità psicologica e teologica dell’angoscia di Gesù nella passione, nel suo sentire, come uomo, che qualcosa stava prendendo un corso terribilmente strano nel rapporto col Padre. Essendo la mia attenzione centrata sulla persona di Gesù, il film non mi ha lasciato il senso che qualcosa fosse contro il popolo ebreo. Finita la proiezione, via alla discussione. Senza sorpresa, in numerosi momenti ci avevano colpito aspetti diversi. Più a conoscenza della cultura ebrea e degli usi e costumi del tempo, e soprattutto più al corrente di come gli ebrei vengono visti e stereotipati, il mio collega ha notato vari momenti in cui la figura dei capi degli ebrei avrebbe potuto essere più sensibile. Si era ad esempio stupito del ritratto quasi animalesco di Barabba, cosa che aveva sicuramente semplificato troppo la complessità della tensione politica di quel periodo storico. Sulla base delle sue osservazioni e preoccupazioni, mi sono accorta come Gibson abbia composto i testi dei vangeli sottolineando come Gesù fosse stato condannato da una comunità ebraica monolitica. E, non sviluppando la figura di Nicodemo, mi è sembrato che Gibson abbia perso un’occasione per dare un tono più profondo alle scene del giudizio. La nostra conversazione si è spostata sulla forza artistica e psicologica. Ci eravamo commossi quasi negli stessi punti, e, come lui diceva, con profondo rispetto: Sapevo che Gesù era morto, ma che avesse sofferto così no. L’indomani, rifletto ancora su certi lati deboli della sceneggiatura. Se ne è tanto parlato. Ma mi concentro sul dialogo col mio collega, e mi rendo conto che il primo passo da fare per evitare che il film non generi antisemitismo e non aumenti la tensione tra le comunità cristiana ed ebrea è di comprendere perché cristiani ed ebrei provano sentimenti così diverse dinanzi al film. Il modo migliore per capire, mi sembra proprio il vederlo con un amico di diversa fede. Certo, ci si può sentire un po’ impacciati; ma si potrà così scoprire e approfondire la nostra capacità di apprezzare e perfino di mantenere in noi stessi diverse prospettive. Nel mio caso, il collega non solo mi ha aiutata a vedere più chiaramente i giusti riferimenti al giudaismo, ma mi ha anche fatto apprezzare la profondità della mia esperienza di fede.

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