Una Pasqua per tutti i gusti

Da "Batman V Superman" a "Race - Il colore della vittoria", da "La macchinazione" a "Land of mine". Ecco le nostre proposte per questa settimana
Batman V Superman

Batman V Superman: Dawn of justice

Due ore e mezza, a dire il vero, sono tante. Ma il blockbuster diretto con indubbia abilità da Zack Snyder – quello di 300 – tiene il ritmo. I due supereroi, infatti – il plastico Henry Cavill, ossia il messianico alieno Superman, e il pesante Ben Affleck, ossia il superdotatoto umano Batman –, si fronteggiano in una lotta catastrofica per i poveri mortali finché non si coalizzano insieme contro un Male ancora più inimmaginabile. Ricco di colpi di scena, di trovate spettacolari, di nuovi personaggi, con qualche punta di love story tra Superman e la curiosa giornalista già notata in l’Uomo d’acciaio, il film è davvero enciclopedico (o almeno vorrebbe essere) dato che fa aleggiare venature filosofico-teologiche su bene e male, Dio e satana, pessimismo e ottimismo umano e sul nostro futuro.

Non mancano citazioni dal genere dell’epos cui in effetti il filmone appartiene: dal nuovo Achille che trascina col carro il nuovo sventurato Ettore (non vi diciamo chi siano), a una deposizione dalla croce di un caduto (le suggestioni cristologiche qua e là emergono, del resto Superman è una sorta di messia), e così via. I lati sentenziosi non mancano – “uniti si vince, divisi si perde" –, qualche fibrillazione surreale che fa prevedere un sequel, e soprattutto uno spettacolo magniloquente di effetti speciali e una interpretazione convincente del gran cast scelto (c’è addirittura Jeremy Irons). L’aria è cupa, talora dolente, l’epos tende al dramma – i riferimenti alle Torri Gemelle ma anche all’oggi violento –, anche se non insistente. Un film diverso dai precedenti, con una certa cupezza, imprevedibile molto spesso, citazionista sicuramente, ma da vedere.

 

Race- Il colore della vittoria

 

Un bel film celebrativo, sullo stile della fiction, ma dignitoso e ben recitato dal protagonista Stephan James nel ruolo dell’atleta di colore Josse Owens, 4 medaglie d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936, eppure riconosciuto come eroe dagli Usa solo nel 1990, quando era già morto. A dire che, se nel film si evidenzia il contrasto interno al comitato olimpico americano sulla partecipazione o meno alle gare nel regime nazista e razzista di Hitler, di razzismo ce n’era e ce n’è ancora negli Usa, come  emerge anche dal colloquio amichevole tra i due atleti, quello di colore e il campione tedesco rivale, che gareggiano e diventano amici. La lealtà sportiva è sopra tutto e il film ha la capacità di metterlo bene a fuoco, oltre gli intrecci economici tra le varie parti e le pressioni politiche anche sugli atleti. Ma alla fine a vincere è l’amore per la purezza della gara. Un messaggio esplicito al declino dello sport attuale, piombato sovente in un clima per nulla gioioso o trasparente. Regia corretta di Stephen Hopkins. Interessanti i filmati d’epoca inseriti nel film.

 

La Macchinazione

 

C’è stata un'autentica congiura, preparata minuziosamente a tavolino, da parte dei poteri politici forti con l’aiuto della banda della Magliana, per eliminare un personaggio scomodo come Pasolini. Ad oggi, stando alle ulteriori testimonianze, il delitto fu un assassinio di gruppo e non opera del solo Pelosi, come tanto si è detto. Il film, che è una sorta di originale docu-thriller,  è diretto con mano ferma da David Grieco che conobbe il poeta e ha compiuto ripetute analisi sulla sua fine. Certo, di misteri ne rimangono ancora diversi e su quella morte c’è tanto buio.

Il regista scava sui personaggi corali dell’eccidio, sugli ultimi giorni di vita del poeta, sulla vita anche dei delinquentelli e dei sicari. Ne esce un quadro variegato in cui Massimo Ranieri, assai somigliante a Pasolini, lo rivive con assoluta immedesimazione. Forse un limite del film sta in un certo bozzettismo dell’insieme e nel faticare a uscire dallo schema del docu-thriller, non risparmiandoci ancora una volta la crudeltà del delitto.

 

Land of mine – Sotto la sabbia

 

Difficilmente si parla oggi delle vendette contro i tedeschi alla fine del conflitto mondiale. Coraggiosamente, il regista Martin Zandvliet in una coproduzione danese/germanica racconta di un gruppo di soldati tedeschi portati a sminare un lungo tratto di spiaggia in Danimarca nel maggio 1945. Il fatto strano è che questi sono ragazzi, alcuni poco più che adolescenti, pieni di paura, di nostalgia di casa, di voglia di vivere ma anche di disperazione. Su di loro grava la responsabilità degli orrori nazisti come è convinto il sergente Carl Rassmussen che ne assume la guida. Il suo odio tuttavia deve fare i conti con gli sguardi perduti di questi ragazzi, alcuni dei quali subiscono, altri non si arrendono e reclamano rispetto per la loro dignità di esseri umani, innocenti comunque per il conflitto. Vendetta o  perdono, riconciliazione? Il sergente deve fare i conti con sé stesso e anche con un suo cocciuto e duro superiore, che non intende ragioni, ma è assetato di rancore.

I diversi passaggi psicologici sono narrati con crudele dolcezza. Restano impresse alcune di queste figure giovanili, tra disperazione e voglia di tornare a casa, con inquadrature sfuggenti, primi piani silenziosi perché parlano gli sguardi più che i discorsi. Lentamente si fa strada nel sergente un sentimento che mancava allora come spesso ancor oggi prima durante e dopo i conflitti: la pietà.

Questo è infatti un film sulla “misericordia” come realtà necessaria e indispensabile per tornare a convivere fra esseri umani. Tragedia dolore rimorso non mancano nel racconto, del resto sobrio e quanto mai vero. Forse uno dei più bei film degli ultimi anni. Straordinari almeno due attori, Joel Basman, il ragazzo più coraggioso, e Roland Moller, il sergente.

 

Escono anche: Il condominio dei cuori infranti, commedia agrodolce francese con Isabelle Huppert; Heidi, la celebre favola; Il mio grosso grasso matrimonio greco 2, sequel del precedente, bozzettistico; Un momento di follia con Vincent Cassel, ovviamente follia amorosa di un cinquantenne con una ragazzina; Un paese quasi perfetto, con Fabio Volo e Silvio Orlando, commediola nostra senza troppe pretese.

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