Una nuova social card si può, parola di Acli

Soldi e servizi per risollevare le famiglie povere con controlli severi per evitare frodi. Il terzo settore sarà partner affidabile, ma per Sacconi costa troppo
Andrea Olivero

«Siete disponibili a lavorare ad un piano bipartisan per combattere la povertà assoluta?», questa è la domanda-appello che Andrea Oliviero, presidente nazionale ACLI, ha posto ai politici intervenuti a Roma, nella sala conferenze Capranichetta presso piazza di Montecitorio. Occasione per la presentazione, da parte delle Acli di un piano nazionale contro la povertà, teso alla creazione di un “primo livello essenziale” di beni e servizi a cui tutta la popolazione ha diritto di accedere.

«La vecchia social card non ci soddisfava», ha affermato il presidente nazionale, da qui la proposta di una nuova,  rivolta a tutte le famiglie in uno stato di povertà assoluta. Secondo l’Istat, in Italia a non raggiungere una situazione di vita minimamente accettabile per alloggio, cibo, vestiti, sono il 5,1% delle famiglie. Da qui l’idea di una nuova social card, inserita in un piano triennale contro la povertà: misura strutturale che, nell’UE, manca solo a Grecia ed Italia.

 

E’ Cristiano Gori, professore dell’università Cattolica di Milano e coordinatore del gruppo di ricercatori messi assieme dalle Acli, a spiegare i punti cruciali del piano. Si è partiti dall’esistente. La vecchia Social Card non è il massimo, però è stato il primo provvedimento, su scala nazionale, ad affrontare la materia scottante della povertà assoluta creando un’infrastruttura. Perciò, l’obiettivo delle ACLI è stato quello di sviluppare gli elementi di criticità, creando una proposta concreta di miglioramento. Ampliare il numero delle famiglie coinvolte, in questo momento di crisi, è sembrato indispensabile: allargando la proposta anche ai non italiani, in possesso di permesso e ai senza dimora.

 

Contemporaneamente le ACLI hanno pensato all’aumento del contributo mensile. Nella proposta si passa dagli attuali 40 euro, agli auspicati 129 di media al mese, variabili a seconda del livello di povertà, in modo da rendere possibile una crescita del reddito delle famiglie povere del 18%. L’aumento è da affiancare al criterio di equità territoriale, cioé l’accesso al contributo e l’importo di quest’ultimo dovranno modificarsi in relazione al costo della vita nella città considerata, tenendo conto che i costi sono più alti al nord rispetto al sud e nei grandi comuni rispetto ai piccoli centri. « La povertà  non è una piaga del meridione», ha ribadito Gori nel suo intervento, « il 51% dei nuclei familiari in situazione di povertà assoluta vive nel centro-nord della penisola.»

 

«Attenzione alla fase di controllo e sorveglianza», tiene, più volte, a sottolineare il professore, in modo che a giovarsi di questo sussidio sia chi ne ha veramente bisogno. «Non se ne può più di soldi buttati al ventocon misure occasionali ed inutili», ha sostenuto, con veemenza, il vicedirettore di Caritas italiana Francesco Marsico. Quindi i soldi erogati andrebbero uniti a servizi offerti alle famiglie. Dovrebbe in questo caso entrare in gioco un forma autentica di federalismo in cui lo Stato si occupa delle coordinate base, mentre territorio ed enti locali si occuperanno del resto. Altra proposta è che i beneficiari, appartenenti alla fascia attiva della popolazione, dovranno essere disponibili all’inserimento in qualsiasi tipo di lavoro offerto o corso di formazione che possa poi instradarli in una professione.

 

Cresce nel piano contro la povertà il ruolo del terzo settore, con l’alleanza comuni-soggetti sociali per rintracciare le famiglie e sviluppare programmi del Welfare locale, magari dividendosi i compiti di erogazione e verifica dei servizi. Sarà necessaria una politica attenta al cittadino, non assistenzialista e sussidiaria, in cui nessuno si esime dalle proprie responsabilità. Ultima e più critica area è, infine, quella degli investimenti necessari per supportare il piano. I fondi previsti dovrebbero aumentare di 787 milioni di euro ogni anno fino ad arrivare a 2 miliardi e 360 milioni annui nel 2013. « Spese sostenibili», afferma Cristiano Gori, nonstante le perplessità del ministro Sacconi. Indubbiamente vanno ridefinite le priorità e la social card punta proprio a questo: più sociale, più attenzione ai poveri.

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