Una nuova mappa mondiale
La globalizzazione non trasforma soltanto la natura dell’ambiente internazionale; essa rimette in causa la divisione concettuale tra spazio politico nazionale (e sub-nazionale) e spazio politico internazionale.
Le relazioni internazionali sono state tradizionalmente considerate, dal punto di vista epistemologico, un’area specialistica, nella quale hanno prevalso gli approcci storico-diplomatico, geopolitico, strategico.
Con la globalizzazione assume una nuova rilevanza l’idea che le relazioni internazionali debbano essere studiate attraverso le categorie della teoria politica generale. È l’intera dimensione spazio-temporale della politica (interna e internazionale) che deve essere riconcettualizzata.
D’altra parte, le stesse teorie delle relazioni internazionali sono frutto di una particolare e specifica interpretazione della natura, della localizzazione e delle possibilità delle comunità politiche.
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La nozione di sovranità è, come si vede, una manifestazione evidente del tentativo di differenziazione basato su una demarcazione di confini territoriali e/o identitari. Le teorie internazionali dicotomiche (interno/esterno) sono preoccupate di distinguere nettamente spazi, contesti politici, limiti di effettività del potere.
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Tuttavia questa prospettiva vacilla oggi sotto i colpi delle mutate esigenze di ordine internazionale, a partire dalla tendenziale contraddizione che si determina in molti contesti critici (ad esempio nelle situazioni di genocidio e di violazione su vasta scala dei diritti umani fondamentali) tra principio di autodeterminazione dei popoli (e diritti umani universali) e principio di non ingerenza, e più in generale tra principi di giustizia internazionale, sopranazionale e transnazionale e pretese di assolutezza della sovranità degli Stati.
La risposta a tale dilemma non può venire nemmeno dalla già richiamata dimensione glocal (globale-locale), pur con il valore che essa ha nei termini di una visione più avanzata del rapporto tra comunità e mondialità. Si tratta, in effetti, di andare oltre una concezione dell’azione politica pensata in termini spaziali, da un lato, e strettamente strategici (nel senso di meccanismi di acquisizione, mantenimento e legittimazione del potere), dall’altro.
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Si tratta di configurare una nuova forma del Politico, di favorire «una decostruzione drastica della tradizionale verticalità tipica della politica» e di impegnarsi per una «difficile, lenta, faticosa ricostruzione di una dimensione orizzontale, nella quale la capacità di istituire relazioni, di corresponsabilizzare e di condividere prevalga sulle semplici tecnologie del potere “esercitato su” (su territori, comunità, individui, assunti come destinatari e nel migliore dei casi utenti)».
Se si assume come valido questo punto di (ri)partenza, è evidente, come conseguenza, che l’azione politica (anche quella dei cittadini, e quindi in termini di partecipazione) non può più essere concepita in termini solamente spaziali, ma che per poterla impostare in modo efficace deve essere considerata un’altra prospettiva, che è quella del tempo. La politica non può oggi pensarsi se non in una dimensione temporale, ben più complessa di quella spaziale.
Quando ci si riferisce ad esempio al “patto intergenerazionale” e cioè alla responsabilità verso future generazioni per esempio in materia di equilibrio ecologico e di sviluppo eco-compatibile, ciò deriva dalla consapevolezza, nella dimensione “diacronica”, che un comportamento attuale può influire sull’assetto futuro del mondo. Richiamare le classi dirigenti e i poteri economici a questa responsabilità è in fondo un modo di partecipare politicamente a favore dell’umanità dei prossimi decenni, di “porsi in relazione” con il mondo di domani, di pensare i fenomeni non più in termini diacronici, ma sincronici. Quando poi si sottolinea l’importanza delle radici storiche e culturali di un popolo come fondamento e guida dell’azione politica, si immette nel discorso politico un altro aspetto della dimensione temporale, che è quella del passato, o meglio, della nostra profonda connessione con quanti ci hanno preceduto.
L’azione politica rivela così, attraverso una declinazione temporale, il proprio elemento strutturale, che consiste nella sua articolazione relazionale. Ed in effetti il tempo si coniuga nel nostro pianeta con una dimensione relazionale. Le strutture politiche sono sempre meno piramidali, e tendono a disporsi a rete. E quindi l’elemento di connessione tra i vari costituenti, e cioè la relazione, diventa fondamentale, anche nell’ambito internazionale e transnazionale. Si tratta di uno sguardo nuovo sull’altro, che consenta di superare la “auto-referenzialità feroce” della politica. Questo guardare l’altro in modo nuovo, questo suo riconoscimento «scioglie le comunità parziali che esso [il Politico] totalizzava, nello spazio visivo di una comunità planetaria che non conosce più punti di vista egemonici». Un modo di vedere il mondo che educa alla reciprocità e al “valore di legame”, ben più profondo e solido della sola “obbligazione politica”.
Da Pasquale Ferrara, La politica inframondiale, le relazioni internazioni nell’era post-globale (Città Nuova, 2014)