Una nuova chiamata alle armi

Grande successo dell’expo di armi in Arabia Saudita mentre si profila la necessità di preparare nuovi riservisti anche in Italia pronti ad intervenire in caso di conflitto. Una sfida da non ignorare da parte di chi non accetta la logica del detto “Se vuoi la pace prepara la guerra”
Chiamata alle armi, ministro della difesa tedesco Boris Pistorius ANSA EPA/RONALD WITTEK

La corsa al riarmo ha celebrato il suo appuntamento più importante quasi in contemporanea con Sanremo, dal 4 all’8 febbraio, con il World Defence Show, la fiera su difesa e sicurezza che si svolge ogni due anni a Riyadh, in Arabia Saudita.

Come conferma Airpress, stampa specializzata del settore, «l’Arabia Saudita è destinata a diventare sempre più un attore di primo piano in generale per quanto riguarda le collaborazioni commerciali e internazionali, e in particolar modo per quello che riguarda il settore della Difesa. Una spinta dettata in particolare dalla sua Vision 2030, il programma strategico promosso da Riad per ridurre la sua dipendenza dal petrolio e diversificare la propria economia, che vede tra i suoi pilastri principali l’aumento della spesa in ambito militare».

La credibilità internazionale di Riyadh ha avuto il suo suggello con la larga vittoria saudita nell’assegnazione dell’Expo 2030 che ha relegato ad un umiliante terzo posto, dopo la Corea del Sud, la candidatura di Roma.

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto durante l’incontro con il suo omologo saudita Khalid bin Salman bin Abdulaziz, Riad, 6 febbraio 2024.
ANSA/ MINISTERO DELLE DIFESA

Il nostro Paese, ad ogni modo, non ha certo disertato il sontuoso show delle armi nella terra della casa reale dei Salman che ha visto la presenza di un centinaio di delegazioni da 65 nazioni, tra cui, appunto, l’Italia che, come riporta Airpress, «ha partecipato con le sue eccellenze industriali dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza con il sostegno delle istituzioni della Difesa e delle Forze armate» con rapporti diretti tra i vertici militari dei due Paesi  «nel solco del Joint consultative committee, il meccanismo di dialogo militare tra Arabia Saudita e Italia sui temi della difesa e sicurezza avviato a dicembre del 2023 con la visita nella capitale saudita del segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano».

Una linea coerente con la strategia annunciata chiaramente nel 2018, e riportata da cittanuova.it, nella conferenza stampa promossa dal Centro studi Machiavelli con la presenza di Guido Crosetto, allora presidente delle aziende italiane di difesa e spazio, e ora ministro della Difesa del governo Meloni.

Parliamo di un periodo, il 2018, che sembra lontano un secolo da quello attuale che si colloca dopo la pandemia, la svolta epocale dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 e l’escalation bellica in Terrasanta scatenata dopo l’eccidio di Hamas del 7 ottobre 2023.

La congiuntura odierna ha posto le condizioni ottimali per il successo del World Defence Show dove, tra l’altro, è stato sottoscritto il memorandum of understanding tra la società  Leonardo e il ministero degli Investimenti e l’Autorità generale per l’industria militare dell’Arabia Saudita al fine di  «sviluppare e valutare una serie di investimenti e opportunità di collaborazione» nel settore.

Va perciò presa molto seriamente la previsione annunciata dal ministro Crosetto di dover aumentare fino a 10 mila i militari da formare e tenere disponibili per la riserva in caso di necessità di intervento armato da parte dell’Italia.

In un’intervista alla Stampa il ministro ha spiegato che si tratta di una necessità pragmatica:  «Abbiamo trasformato le forze armate con l’idea che non ci fosse più bisogno di difendere il nostro territorio e che la pace fosse una conquista di fatto irreversibile. Le forze armate, in questo quadro, al massimo partecipano a missioni di pace, senza arrivare a scontri veri e propri. Ora i recinti sono stati abbattuti, non ci sono più regole». Non si tratta solo di un’idea astratta perché già esiste un disegno di legge governativo in tal senso presentato dal presidente della commissione Difesa della Camera in un Parlamento dove la maggioranza governativa ha i numeri per farla approvare.

Anche l’ex generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa promossa assieme a Marco Minniti, ex ministro dem e ora presidente Fondazione Med-Or di Leonardo,, si è detto persuaso della necessità di incrementare la formazione di personale militare pronto ad intervenire.

Così anche la missione militare nel Mar Rosso ha regole di ingaggio che prevedono ovviamente l’uso delle armi in caso di attacco da parte delle forze yemenite degli Houthi, nonché la dotazione di navi con caccia bombardieri F35. Condizioni analizzate da un dettagliato articolo di Maurizio Simoncelli su cittanuova.it

Circa la guerra in corso a Gaza non esiste al momento una strategia europea di interposizione per far cessare il massacro, anche perché il governo Netanyahu e i vertici di Hamas non sembrano avere alcuna intenzione di arrivare ad una tregua, mentre i civili palestinesi continuano ad essere bombardati e le pressioni internazionali restano a livello di appelli e inviti.

All’Italia è stato più volte rimproverato, da più parti, di non aver svolto un ruolo di intervento diretto in Libia lasciando così il campo libero a turchi e mercenari russi.

Ma la necessità dell’intervento che appare più probabile si trova nelle dichiarazioni del ministro della Difesa tedesco Pistorius che, di fronte alla difficoltà delle truppe ucraine logorate da due anni di combattimenti, ha detto di prevedere nel giro dei prossimi anni un’ulteriore espansione russa verso i Paesi baltici che richiederebbe l’intervento della Nato. L’Alleanza atlantica ha recentemente dato un forte segnale verso Mosca varando la più grande esercitazione militare dai tempi della “guerra fredda” dispiegando 90 mila soldati di 31 Paesi, la  Steadfast Defender 2024.

Soldati ucraini che si preparano alla battaglia, ANSA/US FORZE ARMATE UCRAINA

Bisogna dar atto al direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, di aver segnalato la necessità di preparare nuove leve pronte ad intervenire perché in caso di necessità le forze armate attuali, seppur specializzate, non sarebbero in grado di resistere che poche settimane ai livelli di conflitto in corso in Ucraina.

Si tratta di questioni ormai apertamente dibattute ma che non sono ancora giunte al livello della coscienza collettiva anche se alcuni segnali si possono cogliere nella proposta della mini naja ( alcuni mesi di formazione militare per i giovani) avanzata dal presidente del Senato Ignazio La Russa e dal fatto che nelle scuole si moltiplicano progetti formativi con le forze armate.

Pressioni ulteriori verso la militarizzazione arrivano dalle dichiarazioni di Trump che, muovendosi già come  presidente Usa in pectore, minaccia di non offrire più la copertura dell’esercito Usa ai Paesi Nato che non investono almeno il 2% del Pil in spesa bellica.

Sintetizza questo scenario in atto l’editoriale del 12 febbraio del direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, intitolato “Cara Europa e cara Italia, se volete la pace preparatevi alla guerra” sulla «necessità da parte dell’occidente di andare veloce verso una corsa agli armamenti» mettendo in fila una serie di dichiarazioni di vari capi di stato e vertici militari tipo quella del di James Heappey, ministro delle Forze armate del Regno Unito, che «ha parlato della necessità di dispiegare fino a mezzo milione di soldati, compresi i riservisti, se la Nato fosse chiamata a combattere una guerra terrestre su vasta scala contro un’aggressione russa».

Analisi che nascono da una visione di un Occidente sotto attacco che è comune alle tesi esposte in diversi testi da parte di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, e Federico Rampini, editorialista di punta del Corsera.

Una narrazione che pone una sfida da cogliere da parte di coloro che, senza fughe ireniche o rifugiandosi in ambiti profetici, ritengono invece più che necessario agire per affermare il principio opposto a quello bellico: “Se vuoi la pace prepara la pace”.

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