Una minuscola tassa che mette paura

Lanciata “zerozerocinque”, una campagna di pressione per la tassazione delle speculazioni finanziarie. Consenso di economisti e Parlamento europeo. I tempi sono finalmente maturi?
Camapagna zerozerocinque

La tassazione della finanza speculativa è come un grande gioco che funziona solo se tutti sono d’accordo. È stata questa l’obiezione che ha fatto finora fallire ogni applicazione della cosiddetta Tobin tax, dal nome del premio Nobel per l’economia del 1972, James Tobin, che la propose per primo, ma non dialogò con quei movimenti sociali che ne fecero un cavallo di battaglia negli anni Novanta con l’intenzione di «disarmare i mercati». La paura di ogni governo è sempre stata quella della fuga di capitali all’estero indotta al minimo accenno di una maggiore tassazione della rendita finanziaria, che è sempre di gran lunga minore delle percentuali applicate al reddito dell’impresa e dei lavoratori.

 

Così qualche parlamento nazionale ha anche approvato risoluzioni che impegnavano i rispettivi governi a introdurre minuscole percentuali di tassazione delle transazioni finanziarie, ma le ha subordinate all’adozione di un accordo internazionale, come il Canada nel 1999, oppure a quello dei governi dell’Eurozona, come il Belgio nel 2004. Enormi masse di denaro in mano ad operatori che manovrano, anche migliaia di volte al giorno, strumenti finanziari assai complessi, ma slegati dall’economia reale. Un gigantesco gioco d’azzardo con congegni così complicati che sfuggono anche agli esperti. Una piccola tassa rimane perciò insignificante per gli investitori sani, ma diventa odiosa e pericolosa per chi, invece, è abituato a fare dell’economia un grande casinò.

 

Molte organizzazioni sociali hanno lanciato la petizione internazionale “zerozerocinque” in vista della riunione dei capi di stato del G20, prevista a Toronto (Canada) a fine giugno. Lo 0,05 per cento è, appunto, la misura della minima tassazione proposta come argine a quelle manovre speculative che hanno il potere di trasformare il click su una tastiera del pc di un trader in lacrime e sangue per intere fasce di popolazione nel mondo.

 

In Italia l’iniziativa vede tra i promotori realtà consolidate e diffuse come l’Azione Cattolica e le Acli. Si tratta di capire se una proposta così concreta, erroneamente considerata astratta e poco comprensibile, riuscirà ad entrare nel dibattito politico e sociale. Il testo della lettera da inviare ai capi di Stato e di governo è molto chiara: «Avete messo a disposizione centinaia di miliardi di dollari per salvare le banche e il sistema finanziario. Dall’altra parte, non state affrontando le crisi sociali e ambientali con l’urgenza politica e le risorse finanziarie che sarebbero necessarie. Le imprese finanziarie per decenni hanno tratto beneficio dall’assenza di una regolamentazione significativa e sono in gran parte responsabili della crisi. Credo sia ora che anche loro paghino la giusta parte dei costi della ripresa. Una tassa sulle transazioni finanziarie sarebbe lo strumento più efficace per assicurarlo. Permetterebbe di generare i fondi necessari a pagare i costi sociali della crisi, a finanziare i beni pubblici quali la sanità, a combattere la povertà e i cambiamenti climatici, e di contribuire a una maggiore stabilità del sistema finanziario, riducendo la speculazione e l’eccessiva liquidità. Le solite ricette non sono più delle opzioni accettabili».

 

Un economista come Leonardo Becchetti, presidente nazionale della Lega Missionaria Studenti che promuove la campagna, ha posto la famosa domanda: «Se non ora, quando?». Becchetti non usa mezzi termini definendo come «pseudo scientifiche, ridicole e grottesche» le controargomentazioni alla tassa; originate, in verità, dal timore di perdere «briciole di profitto di fronte alla vita di centinaia di milioni di diseredati».

 

Anche secondo altri esperti è inevitabile pensare ad un’imposta sulle attività finanziarie, dato che non si può innalzare ulteriormente la tassazione della produzione, del lavoro e dei consumi. La stima del possibile introito della “zerozerocinque” è, per forza di cose, molto approssimativa: tra 163 e 496 miliardi di dollari all’anno nell’Unione europea, che diventano tra 400 e 946 a livello mondiale. I capi del governo di Inghilterra, Francia e Germania hanno già espresso il loro favore e il ministro dell’Economia italiano, Giulio Tremonti, sembra valutare con attenzione la proposta in vista del prossimo G20. Il Parlamento europeo, con una risoluzione approvata a grande maggioranza il 10 marzo scorso, ha dichiarato che una lievissima trattenuta sulle operazioni finanziarie potrebbe contribuire a «coprire i costi generali della crisi».

 

I tempi sembrano maturi. Qualche volta può vincere anche chi sembra più debole in partenza.

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