Una meraviglia di marmo intarsiato
Quello dell’Alto Medioevo non si iscrive tra i musei più frequentati della capitale, confinato com’è in una parte del Palazzo delle Scienze all’Eur, accanto ad una “star” come il Museo Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini”.
Eppure per il valore delle collezioni che ospita, databili tra il IV e d il XIV secolo e provenienti per la maggior parte da Roma e dall’Italia centrale, è un vero gioiello da scoprire. Incombe purtroppo su di esso, per risparmiare i costi d’affitto della struttura, la minaccia di sfratto e successivo trasferimento dei suoi materiali al Pigorini: eventualità assolutamente funesta in quanto darebbe luogo ad un ibrido.
Cosa concludere? In attesa che se ne decidano le sorti, affrettiamoci a visitare questo Museo, inaugurato nel 1967 con l’obiettivo di dotare Roma di un contenitore archeologico dell’età postclassica e di promuovere la ricerca su un periodo strategico per lo studio della trasformazione del mondo antico.
Alla Roma tardoantica (IV-VI sec.) risalgono tre ritratti imperiali, alcune epigrafi votive e funerarie e una preziosa fibula a balestra in oro con decorazione a traforo. Seguono le testimonianze dell’occupazione longobarda in Umbria e nelle Marche (VI-VII sec.) con le due più importanti necropoli dell’Italia centrale (Nocera Umbra e Castel Trosino), che ne costituiscono il nucleo di eccellenza con i loro corredi di armi, gioielli, avori, vetri e vasellame di bronzo e ceramica.
La successiva età carolingia è illustrata da un cospicuo gruppo di rilievi marmorei provenienti dalla decorazione architettonica delle chiese di Roma e del Lazio, profondamente rinnovate all’epoca della “rinascenza carolingia” (IX-X sec.).
Allo stesso periodo appartengono gli arredi e gli oggetti d’uso provenienti da due aziende agrarie di formazione papale, le domuscultae di Santa Cornelia e Santa Rufina, create nella campagna romana per l’approvvigionamento della città (fine VIII-X sec.) e perdurate con altre funzioni fino al pieno Medioevo. Il percorso comprende anche una “collezione copta” costituita da rilievi e tessuti che offrono una significativa esemplificazione della produzione artistica dell’Egitto tardoantico e altomedievale (V-X sec.).
Ma il fiore all’occhiello del Museo, quello che anche da solo – a mio parere – giustificherebbe la sua sopravvivenza nell’attuale sede, è l’aula dell’Opus Sectile, un unicum per la sua eccezionale conservazione: si tratta della sala di rappresentanza di una domus monumentale del IV sec. d. C., rinvenuta ad Ostia Antica e qui ricostruita nel 2006 quasi integralmente con la sua raffinatissima decorazione ad intarsio marmoreo, articolata su diversi registri: nelle pareti laterali, in basso, partiture architettoniche e specchiature geometriche; nelle fasce superiori, fregi floreali, riquadri figurati, animali in lotta e motivi simbolici di tradizione ellenistica.
Diversa la decorazione dell’esedra quadrangolare della parete di fondo: sempre in opus sectile di marmo, presenta motivi a scacchiera minuta in basso e falso prospetto architettonico nella parte alta. Alcuni frammenti superstiti del soffitto di questo ambiente rivelano che esso era decorato a mosaico in pasta vitrea verdeazzurra con tralci di vite: simulava dunque un pergolato, come s’addiceva ad un luogo di banchetto quale doveva essere l’esedra, con vista verso il mare.
La grande sala, infatti, la più sontuosa di un edificio ostiense presso Porta Marina, si apriva a pochi passi dalla spiaggia: la stessa sulla quale lo scrittore e avvocato romano Minucio Felice aveva ambientato, diversi decenni prima, il suo celebre Octavius, un dialogo tra il pagano Cecilio Natale e il cristiano Ottavio Ianuario.
I lavori di questa grande aula di m.7,45 x 6.70 non erano ancora terminati quando, per cause imprecisate, il tetto crollò ed essa venne abbandonata: lo dimostrano le quaranta formelle del pavimento rinvenute smontate, all’epoca dello scavo, ed ora anch’esse ricomposte: il risultato è un elegante tappeto policromo con motivi decorativi a stelle, cerchi e ottagoni.
Ma ciò che più sorprende è l’inserimento, nelle specchiature marmoree della parete di destra, di due busti maschili: un giovane aristocratico con tunica bordata di porpora e un adulto dallo sguardo ispirato, con lunghi capelli, barba e nimbo, che alza la mano destra come in un gesto benedicente. Di primo acchito, verrebbe da pensare ad un ritratto di Gesù Cristo. A meno che non si tratti di un filosofo. E in tal caso la destra sarebbe alzata nel gesto consueto di chi insegna.
Sull’interpretazione cristiana o pagana di questo enigmatico personaggio esistono opinioni contrarie da parte degli studiosi. Per mantenerci sulle generali, chiamerei i due ritratti: “Il maestro e il discepolo”. E comunque il mistero della loro identità aggiunge ulteriore fascino a questo spettacolare salone con triclinio decorato con i marmi più pregiati, provenienti da tutte le parti dell’Impero romano: porfido rosso egiziano, pavonazzetto della penisola anatolica, porfido verde di Grecia (o serpentino), giallo antico nordafricano; e ancora: alabastro, bardiglio, breccia dorata, cipollino, greco scritto, lunense, tasio, palombino, occhio di pavone paonazzo e rosato, portasanta, rosso antico, verde antico, talvolta trattati a fuoco, incisi e picchiettati per ottenere effetti cromatici, prospettivi e volumetrici particolari.
Di recente, questa meraviglia ha fatto da cornice ad un concerto dell’ensemble Ziryab, un gruppo musicale multietnico il cui repertorio, attingendo alle antiche tradizioni musicali dei popoli gravitanti intorno al bacino del Mediterraneo, intende far cogliere le sorprendenti affinità esistenti tra ritmi e melodie di culture le più diverse: l’arabo-andalusa, la persiana-irachena, la turca-sefardita, la provenzale, l’italiana. Un viaggio affascinante accompagnato da strumenti tipici come l’ud, il tar, il liuto, il baglama, il setar, il riqq; un “intarsio sonoro” al quale la meraviglia marmorea da Porta Marina ha offerto la cornice più adatta.