Una luce nella notte della politica

Fiaccolata a Roma per la liberazione di 300 eritrei in mano ai trafficanti di esseri umani nel Sinai. Chiedono asilo ad un’Europa che si prepara ai nuovi esodi dalle coste del Mediterraneo
fiaccolata per profughi eritrei

Quattrocento fiaccole accese in silenzio sulla scalinata del Campidoglio a Roma. Un’azione simbolica per denunciare il silenzio della comunità internazionale davanti allo scempio che stanno subendo alcune centinaia di profughi eritrei intrappolati nel deserto del Sinai e in mano ad organizzazioni criminali che lucrano nel commercio di armi ed essere umani. Davanti ai profughi, il muro del confine di Israele che purtroppo non si apre come il mare davanti a Mosè. C’è invece don Mosè Zerai che legge un breve comunicato da un megafono. È un sacerdote eritreo direttore dell’Agenzia Habeshia che insieme al Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), il Centro Astalli dei gesuiti e l’associazione A buon diritto hanno organizzato questa manifestazione per attirare l’attenzione su un dramma a cui l’Italia non è estranea: almeno 80 di questi profughi avevano cercato invano di chiedere asilo nel nostro Paese, legato alla loro terra da una storia di colonizzazione.

 

L’odissea dei profughi eritrei è così continuata in Libia, dove sono stati respinti, per poi proseguire in Egitto a cui appartiene quel deserto dove sono ora rinchiusi. Gli organizzatori della manifestazione sono stati ricevuti dai sottosegretari agli esteri e ad un certo punto, sulle scale che conducono al traffico caotico romano, è sceso con la fascia tricolore e la candela accesa anche il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno. Tutti spendono parole di comprensione e di tutela dei diritti umani. Ma chi potrà intervenire?

 

Qualcuno crede che una svolta democratica in Egitto potrebbe essere d’aiuto anche in questo caso. Altri come il presidente del Cir, Savino Pezzotta, o il presidente di A buon diritto, Luigi Manconi, chiedono un piano di evacuazione umanitaria da parte dell’Unione europea con la garanzia di un piano di accoglienza da parte dei Paesi membri.

 

Resta il fatto che proprio una politica di chiusura di queste nazioni, incapaci finora di adottare un piano condiviso di gestione dei flussi migratori che non sia dettato dall’emergenza, ha provocato e provocherà situazioni del genere. Intanto proprio il primo febbraio si sono registrati nuovi sbarchi di immigrati a Lampedusa. I Paesi del Mediterraneo in fermento sembrano far presagire l’esodo di nuove moltitudini, di «flussi inarrestabili» commenta padre La Manna del Centro Astalli. Intanto, nel silenzio, si spengono le candele sperando che non si spengano anche queste flebili voci che mettono in gioco la nostra umanità.

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