Una luce nel bosco

Ci sono amici che andandosene, rimangono; spegnendosi, rifulgono. Sono trascorsi due anni da quando Michele è diventato una luce nel bosco. Solo una figlia poteva trovare le parole giuste per dire la morte del padre. Michele, appassionato geologo, amava la terra più del cielo, al quale avrebbe volentieri rubato un po’ di luce per farla splendere là, dove a volte manca. Nel bosco. Nelle nostre vite ramificate e nodose, su foglie crepitanti sotto passi incerti, sospese. Se entrassi nel bosco/mi laminerei di luce/e soffice sarei/come carpina./Se entrassi nel bosco/ profumo d’incenso/sarei/e grommoso lamento di vento/se entrassi nel bosco… (giugno 1990). Leggo i versi di Michele e penso che sia della poesia rivelare in un sol gesto quel che è e sarà. Dire l’anima non più del tempo schiava. Leggo la lettera di Paola e reputo che sarebbe ingiusto tenere questa luce per me. Più giusto sarebbe farla durare, tra fronde e foglie trasparire, frusciare. Alla morte che arrivava, aveva chiesto altro tempo. Avevo sentito dire così, tra lui e mia madre, in veranda: Non ho paura di morire, ma vorrei stare insieme a te ancora dieci anni. L’ultima volta, nella veranda piena di luce l’avevo abbracciato senza accompagnarlo in ospedale. Avevo deciso che l’avrei salutato così prima di ripartire. Mi ero detta: Se fosse l’ultima volta, che sia qui a casa. Ho nascosto la testa tra le sue braccia, come sempre facevo per abbandonarmi alla sua protezione. Gli ho detto: Papà, ti prego, vedi di non fare scherzi, in questo momento non posso permettermelo. Ci vediamo a Natale, ok?. Lui mi ha sorriso. Sì, ci vediamo a Natale, non manca molto!. Mio padre è morto in un freddo giorno di novembre. Quella notte non dormivo e sveglia piangevo silenziosamente. Provavo a figurarmi la sua morte che sentivo vicina e immaginavo la vita futura, senza di lui. Papà ha affrontato la sua fine con un coraggio disarmante. Quando ha capito che stava arrivando, ha implorato mia madre con uno sguardo per un istante spaurito, poi le ha chiesto: Facciamo insieme quella preghiera che mi piace?. E lei: Ma quale, il Padre nostro?. Sì quella…. Un nodo di dolore le afferrava la gola, impedendo alle parole di uscire e allora lui: Bè, allora… vuoi iniziare?. Così hanno detto insieme: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra, dacci oggi il nostro padre quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Con una carezza, le sue mani hanno preso misura di quel corpo di donna che aveva fatto da controcanto alla sua vita, per trentasette anni. Lei sentiva venire sempre meno il suo polso e gli ha detto: Ti prego non lasciarmi, non andartene e lui le ha sorriso, con orgoglio nel vederla ancora così tanto innamorata, e si è accasciato lentamente dopo averla baciata. Ecco, ho provato a raccontarti la morte di Michele. Sono stata a casa per due giorni e ora sono in viaggio. Avevo bisogno di fare un carico di energie d’amore. Michele è lì a casa, nella veranda dove l’ho lasciato l’ultima volta. Continuano ad arrivare lettere e telegrammi, tutti i giorni, di persone che neppure si firmano, di alunni lontani, di amici sconosciuti. Papà è dentro di me, nei pensieri limpidi che mi accompagnano. Vedo con chiarezza alcune cose Ho visto il bagaglio umano che lui ha costruito in questi anni. Nel suo portafoglio c’erano pochi euro. In chiesa c’erano centinaia di anime silenziosissime. La cosa che più mi ha colpito è che tutte le lettere sono di persone che raccontano di un rapporto singolare con lui. In ognuno c’è un filo speciale e unico. La trama della sua vita è stata un continuo tessere intrecci umani con gli altri. Un continuo far aprire gli altri a lui. Un continuo mettere in luce il carattere, lo scontro, l’ironia e la bellezza della vita, delle idee. Mio papà era un laico, credente. Il suo funerale è stato celebrato da tre sacerdoti che, a turno, hanno voluto dare una testimonianza. Uno di loro, francescano, ha detto: Grazie, Michele, per la tua amicizia, per avermi insegnato tante cose su san Francesco. Eri uno che sapeva solo avere amicizie disinteressate. Hai trasformato il liceo in una famiglia. Michele aveva un’anima francescana. Credo che sia così. Credo che la serenità che provo sia dovuta al fatto che per tutta la vita mi ha donato amore. E per questo non ci sono rimpianti, solo, a volte, un senso di disorientamento, quando inciampo nella mia vita così ferita dall’amore. Ho capito, davanti alla sua morte, che lo trasformava in una luce nel bosco, una cosa chiara come fonte di acqua: voglio e desidero fortemente vivere nella limpidezza. Voglio vivere nella semplicità. Voglio vivere nell’amore e nella ricerca della verità. È semplice. Basta avere una rotta. Lui la chiamava dritta lossodromica. I naviganti – mi diceva – hanno una rotta da seguire, così pure gli uomini, dovrebbero averne una, per non perdersi. Anche se la navigazione è dolorosa e complicata. Ora proverò a sorridere a chi mi verrà incontro. Ora dovrò donare agli altri l’amore. Ogni giorno, per il resto che ho da vivere. Voglio amare.Mio padre mi ha insegnato che non si può avere paura di morire, se hai tanto amato, in vita.

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