Una luce da non perdere
A Sansepolcro il Risorto di Piero dialoga con la tavola del Vasari, l’icona quattrocentesca del Cristo – luce sul mondo rinnovato, immobile inizio di una nuova creazione a confronto con il dinamismo intellettuale del pittore aretino. Due mondi, due raffigurazioni di un evento che gli artisti hanno rappresentato infinite volte, con poche varianti iconografiche. Piero innova: più che nella posizione frontale del Messia in atto di scavalcare la tomba, più che sulle guardie assonnate, è il clima che è diverso rispetto al passato.
Piero guarda all’eterno. Di qui l’impassibilità apparente delle sue figure. Di questo Cristo che sta aprendo gli occhi alla nuova fioritura del creato, delle Madonne col bambino chiuse in un silenzio oltremondano (la Madonna di Senigallia ad Urbino, la Pala di Brera a Milano, la Madonna della misericordia di Sansepolcro, la Madonna del parto a Monterchi), dei ritratti dei duchi di Montefeltro, del san Girolamo e degli affreschi ad Arezzo nella Leggenda della vera croce.
Questa imperturbabile aria silenziosa è fascinosa e densa di mistero. Piero infatti ha il dono di fermare la storia, di farla vedere nel suo corso verso l’eterno già in atto, già presente. Di qui la solida architettura delle scene, l’impianto razionale e geometrico degli interni e degli esterni, il volume forte dei corpi e il sentimento di intensità calma.
Sopra tutto brilla una luce sempre primaverile, limpidissima, tale da estrarre l’anima dalle cose e dalle persone con assoluta trasparenza. Piero è in effetti un pittore della resurrezione dell’universo.
Ciò spiega perché la straordinaria rassegna a Forlì, ai musei di san Domenico, appaia un evento, anche se le opere autografe di Piero non sono molte. Ma dal confronto sia con i contemporanei – Giovanni Bellini, Signorelli, Melozzo, Francesco del Cossa, Palmezzano, Antoniazzo romano e amici – sia con gli artisti dei secoli successivi, balza in evidenza l’eredità luminosa di questo genio dell’arte. E’ quest’ultimo aspetto una delle peculiarità della rassegna.
L’amante dell’ingegnere di Carrà, il Ritratto di Renata Gualino di Casorati (1924), Le cucitrici di Campigli (1925) I neofiti di Cagli (1934) la Natura morta di Morandi – in Italia –, e poi Les joueurs de carte di Balthus o la Maison lézardée di Cézanne – fuori Italia – sono solo alcune delle opere dei pittori che hanno guardato a lui nel ventesimo secolo, ispirandosi nella struttura monumentale e ferma di nature e di personaggi, e soprattutto nell’atmosfera “metafisica” della sua poesia.
Ma hanno guardato a Piero anche Silvestro Lega nell’Ottocento, ad esempio nell’interno chiaro dell’Educazione al lavoro – che ricorda la Madonna di Senigallia -, o nel Canto dello stornello (1867), per non parlare di Signorini nello scorcio della Case in Santa Maria dei Bardi a Firenze o addirittura Seurat nel nudo di schiena del 1897 così immobile e lunare.
È davvero Piero una luce per i secoli. Forme, architetture, colori son stati ripresi, reinterpretati in modo originale, da lui. Ma la sua anima, quella invasa dalla sete di una dimensione altra, infinita ed immortale, sarà stata colta?
Questa è la domanda che resta a ciascuno alla fine di una mostra assolutamente da non perdere.
Fino al 26 giugno (catalogo Silvana editoriale)