Una lezione di stile
Dopo il suo primo libro La ragazza col turbante (1986), tradotto in nove lingue, Marta Morazzoni si è ripresentata sulla scena letteraria con volumi che hanno richiamato sempre l’attenzione della critica e il consenso dei lettori. Il suo penultimo romanzo, Il caso Courrier (1997), è stato un vero e proprio caso letterario che, oltre a conquistare il Premio Campiello, ha ricevuto in Gran Bretagna il prestigioso Indipendent Foreign Fiction Award 2001. La particolarità dei suoi romanzi è essenzialmente l’ambientazione europea: una scelta di campo ben precisa che diventa motivo ispiratore per storie di atmosfere rarefatte e silenziose, di moti dell’anima, di indagine psicologica. Anche con Una lezione di stile, sempre per i tipi della Longanesi, la Morazzoni ci riporta nella campagna inglese del Nord Europa, a Ashbery House, dove Lord Jeoffrey Blonds vive con la sua gelida e infelice famiglia. Io narrante della storia è un giovane e ambizioso insegnante, che entra in questa tenuta come precettore della piccola Cecilia, muta dalla nascita. Nel tentativo di sollevarsi dalla mediocrità del suo mondo, egli si proietta con sottile avidità nel rapporto con Lord Jeoffrey che, introducendolo nel suo ambiente, è convinto di aver trovato in quell’uomo un compagno discreto con cui condividere qualche giornata di evasione. Ma il nostro protagonista non riesce a mettersi accanto agli altri con rispetto ed equilibrio, per cui compie passi avventati e si imbatte in una serie di duelli psicologici che lo vedono sconfitto. C’è in lui la presunzione – quella peggiore – di sentirsi centro dell’universo e di considerare tutti gli altri suoi satelliti: “Stavo costruendo il mio mondo nuovo, se non perfetto, almeno perfettibile, un mondo in cui esistevo solo, assoluto”. La Morazzoni tratteggia la vita del protagonista con leggero sarcasmo, lo segue nei suoi camuffamenti interiori, nella sua incapacità a vivere nel presente, e nella sua improvvida volontà di impossessarsi del mondo altrui. Troppo distante dalla vita della famiglia che gli ha dato lavoro, pur percependone battiti dolorosi di infelicità, si pone tra loro con distaccata superiorità per recitare la parte assegnatagli. “Mi ero presentato al suo studio con un certo piacere e un sottofondo di emozione; riguadagnavo soddisfatto il mio posto… Credevo di aver ben memorizzato, se non propriamente appreso, la parte”. Solo ad un certo punto sembra prendere coscienza della propria “mancanza di stile”, ma non tanto da invertire la rotta: “Forse il mio punto fragile stava nel considerarmi pianeta, io che avevo una sola espressione, mutevole al minimo della riconoscibilità, e nessuna capacità di attrazione”, nella confusa percezione di essere scivolato in “un nuovo lungo percorso di errori”. Non gli resta che raccogliere il frutto bacato di un albero piantato male: “Non ho mai veramente sofferto. Forse nasce di lì la pertinacia delle mie intenzioni, da una specie di invidia. Sono l’uomo meno solidale che esista”. L’amara vicenda dell’uomo, che ripetutamente ha rifiutato la lezione di stile che la vita gli ha offerto, si chiude nella solitudine “Sono inutilmente vivo. Sono vivo per nessuno. Da anni guardo dalla finestra: ho dei fantasmi che metto sulla via con ordine, uno al giorno”. Una grande lezione di stile della Morazzoni che, con mano leggera e con sapienza di scrittura, evidenzia quanto l’incapacità a vivere rapporti autentici tra gli uomini sia devastante nella vita delle persone. MARTA MORAZZONI è nata a Milano nel 1950 e vive a Gallarate; insegna Lettere in una scuola superiore. I suoi romanzi, tutti editi da Longanesi – “La ragazza col turbante”, “L’invenzione della verità” (Premio Selezione Campiello 1988), “Casa materna” (Premio Selezione Campiello 1992), “L’estuario”, “Il caso Courrier” (Premio Campiello 1997) e infine “Una lezione di stile” – hanno ottenuto un vasto consenso sia in Italia che all’estero. Di lei Pietro Citati ha affermato: “Possiede un vero genio nel rappresentare la solidità, la compattezza, la continuità, quasi la grandezza della più monotona vita quotidiana, e nel dare alla sua prosa la medesima compattezza di stile”.