Una lettera di Natale dal Sudan in guerra
Siamo giunti all’ottavo mese di questo conflitto tra esercito e milizie armate e non si vedono concretamente soluzioni all’orizzonte. Qui a El Obeid la gente cerca di scappare se ha le possibilità verso Wau, Juba o altre città del Sud Sudan dove possono trovare rifugio e soprattutto mandare i figli a scuola.
A El Obeid le scuole sono chiuse da aprile scorso e nell’attuale circostanza non è possibile riaprirle perché accolgono gli sfollati di Khartoum. Inoltre l’acquedotto del comune non funziona da più di otto mesi, e l’elettricità va e viene senza preavviso.
In questa situazione di precarietà, il mercato informale trionfa eccedendo i prezzi. Pensate che un litro di benzina prima del conflitto costava 550 lire sudanesi oggi siamo arrivati a 4.500 lire sudanesi. Anche la spesa quotidiana diventa difficile per la gente soprattutto per i poveri e chi è nel disagio sociale. Non c’è lavoro, tutti cercano di andare nel grande mercato centrale di El Obeid per trarre vantaggio attraverso servizi remunerati a giornata o vendita di tutto quello che può generare qualcosa.
La nostra proprietà agricola di Malbes è sospesa per il momento. Il territorio circostante è ancora monitorato dalle milizie armate e non possiamo recarci per vedere cosa sta succedendo. Il nostro giardiniere ci informa regolarmente di come vanno le cose ma quest’anno non abbiamo potuto coltivare e produrre niente a causa di questo conflitto.
In parrocchia con prudenza stiamo portando avanti le attività di catechesi e le celebrazione dei sacramenti. Nei centri le attività si svolgono in mattinata dalle 9 alle 11 e poi tutti a casa per ragioni di cautela. Nel centro san Daniele Comboni a ovest di El Obeid abbiamo dovuto sospendere le attività per una settimana causa incursione di bande armate.
Queste bande armate sono presenti anche a Khartoum e nel Darfur e nei luoghi monitorati dalle milizie. Sono gruppi di soldati in divisa da civili che entrano nel mercato o nei luoghi abitati per estorcere denaro o altro. Se non si acconsente alle loro pretese non hanno remore a sparare. La situazione più complessa è nel Darfur.
La città di Nyala è in mano alle milizie, i sacerdoti e chi poteva sono fuggiti. Anche El Fasher sta attraversando un momento difficile a causa di continue incursioni delle milizie; la parrocchia è ancora aperta ma non sappiamo per quanto. Negli altri centri pastorali di El Nahud, Kadugli, Deleng, i sacerdoti sono presenti e fanno quello che possono.
A Rahad e Um Rwaba, che sono coordinati da noi comboniani, non possiamo recarci da aprile scorso. Da notizie avute da nostri conoscenti anche da Rahad e Um Rwaba chi poteva è fuggito nel Sud Sudan, altri sono stati vittime di queste bande armate. Sembra che nel confine Sud Sudan Uganda ci siano molti profughi e sfollati sudanesi. Anche le città di Kosti e Port Sudan stanno accogliendo sfollati interni e profughi.
Il Sudan sta vivendo un brutto momento. Quello che si era riusciti a costruire negli ultimi anni, in educazione, scuole, investimenti pubblici, tutto è andato perduto.
La zona ovest di El Obeid quella che volge verso la via del Dar Fur e del Sud Sudan è la più insidiata dalle milizie. Nella nostra zona a est, l’esercito sudanese sembra meglio monitorare la situazione.
Viviamo nella speranza che tutto questo possa finire, ma nell’attuale realtà non ci sono prospettive di miglioramento. Siamo di fronte a un dramma immenso, in cui sempre la povera gente paga il prezzo più alto.
Nei giorni scorsi a Doha, nel Qatar, si è parlato dell’ impegno per salvaguardare la terra dai cambiamenti climatici. Ma qui in Sudan, a partire dai tempi della missione di Daniele Comboni, cioè dal 1870, fino ad oggi foreste intere sono state trasformate in carbone e al posto delle foreste sono arrivate le capre che hanno sradicato i germogli delle piante. Il deserto avanza.
Pensate che negli anni 80, i nostri confratelli nel viaggio di 360 km da Khartoum a El Obeid, vedevano immense praterie e boschi con gazzelle e altri animali. Oggi chi fa la stessa strada vede qualche albero nei dintorni e greggi di capre in cerca di che brucare. Il Sudan, Paese di immense risorse naturali, è sacrificato a servire gli interessi di questa economia capitalista causa di molte tragedie nel mondo.
Ma in noi, nonostante il marasma di problemi e di situazioni al limite della sopportazione umana, la speranza non demorde. Abbiamo vissuto il tempo di avvento che ci conduce a celebrare l’evento della nascita di Dio in mezzo a noi: Gesù Cristo. Ancora una volta ci viene annunciata la promessa di salvezza che Dio realizzerà nel suo ultimo avvento: tutti i popoli, di ogni lingua e cultura sederanno assieme in pace. Dio sarà loro Padre e non ci sarà più guerra, né morte né sofferenza ma solo la gioia di vivere nell’armonia da fratelli.
Per noi cristiani questa promessa è una missione e un compito da svolgere là dove viviamo. Stiamo attenti e vegliamo affinché questa missione affidata ad ogni uomo di buona volontà non venga meno.
Come Paolo di Tarso, anche noi missionari comboniani stiamo condividendo con la nostra gente le vicissitudini del momento presente. Ci sentiamo stanchi e affaticati, a volte vogliamo partire e abbandonare tutto, ma la fede in Gesù Cristo ci chiama a restare.
Restare per essere come uno stoppino di una fiamma smorta che il vento non riesce a spegnere. Lo dico con sincerità di cuore: siamo qui a causa del Vangelo e non a causa di vari sentimenti umanistici. In situazioni gravi i sentimenti umani vacillano, la fede rimane stabile perché sorretta non da volontà umana ma da Dio che ama questa umanità.
Vi auguro buon cammino in questo Natale. Un abbraccio di amicizia e un ricordo reciproco nella preghiera.
Alessandro Bedin mccj da El Obeid*
*El Obeid è la capitale dello stato del Kordofan Settentrionale del Sudan. Importante centro di collegamento e svincolo per le carovane di dromedari e punto di ristoro per i pellegrini della Mecca in arrivo dalla Nigeria