Una iniezione di fiducia nella democrazia
Ad urne chiuse e risultato acquisito è tempo di bilanci dopo questo primo round delle primarie del centrosinistra. Gli elettori,come tutti sanno, si sono orientati così: 1,3 milioni di voti per Bersani (44,9 per cento); 1,1 milioni per Renzi (35,5 per cento); 0,5 milioni per Vendola (15,6 per cento); 80 mila per Puppato (2,9 per cento) e 40 mila per Tabacci (1,4 per cento).
La consultazione ha costituito una straordinaria prova di maturità democratica, sia da parte di chi l’ha promossa sia da parte degli oltre 3,1 milioni di elettori che si sono messi in fila per andare a votare, pur in una fase della vita politica del nostro Paese caratterizzata da un clima di sfiducia generale nei confronti dei partiti e di contestuale aumento di forme di antipolitica-populista.
Va dato atto sia a Renzi che a Bersani – che si contenderanno la vittoria al turno di ballottaggio di domenica prossima – di aver contribuito, ciascuno per la propria parte, al successo di queste consultazioni. Il primo, per aver impresso una dinamica nuova alla ineludibile esigenza di rinnovamento del gruppo dirigente del suo partito, anche attraverso l’espressione di fresche energie politico-culturali; il secondo, per aver accettato di giocare questa sfida a campo aperto, nella consapevolezza della necessità di ridefinire un percorso di riavvicinamento dei cittadini nei confronti dei partiti.
Per il ballottaggio la competizione rimane aperta. L’esito dipenderà da quanto, ciascuno dei due contendenti, saprà conquistare la fiducia degli elettori nella propria capacità di saper traghettare il Paese fuori dalla crisi, traducendo ipotesi progettuali in effettive capacità di governo, non solo sul versante interno ma anche nel contesto europeo ed internazionale.
Proviamo a trarre, da questa esperienza, delle considerazioni di valenza più generale. I partiti, a fronte della loro crescente impopolarità, hanno bisogno di nuova legittimazione, di ricostruire il rapporto con iscritti ed elettori, di sperimentare nuove forme di coinvolgimento dell’opinione pubblica. E indubbiamente lo strumento delle primarie, inaugurato dal Pd, si sta rivelando come una delle innovazioni capaci di imprimere una sterzata positiva alla vita democratica del nostro Paese. Per questa ragione valutiamo come una buona notizia quella che anche altri partiti (come il Pdl e l’ Idv) abbiano manifestato l’intenzione di voler fare parimenti ricorso ad elezioni primarie.
E ci auguriamo proprio, ad esempio, che – quale che sia l’intenzione di Berlusconi (tornare o meno a scendere personalmente in campo) – il centrodestra dia vita comunque a queste consultazioni così come ha annunciato. Perché sono una grossa chance anche per il centrodestra, come lo sono state per il centrosinistra. Ed, in ultima analisi, sono una opportunità per il Paese.
Esse, infatti, come testimoniato dall’esperienza di quei Paesi – Usa in testa – che le utilizzano tradizionalmente e in maniera istituzionalizzata, sono davvero in grado di fornire un contributo significativo ai processi di democratizzazione della vita interna dei partiti. Le primarie, se ben regolamentate, possono consentire di raggiungere una molteplicità di obiettivi: dalla scelta della leadership (che ne esce con più forte legittimazione) ad una più trasparente selezione delle candidature alle cariche pubbliche; da una verifica preventiva della efficacia delle candidature ad una più intensa e prolungata mobilitazione del partito, fino ad una regolazione della "conflittualità interna" che viene mantenuta distinta dalla successiva "competizione esterna".
Le primarie, in definitiva, se non sono certo il toccasana, costituiscono senza dubbio una buona prassi per una buona politica.