Una grotta tutta d’oro
Rabbrividisce Gaeta, in questo mattino di marzo, sotto un gelido vento di maestrale che spazza il bellissimo golfo. Cavalloni a non finire vanno a infrangersi con spruzzi spettacolari sui moli, sulle scogliere, sulle antiche fortificazioni, con gran sollazzo dei gabbiani, che nei loro volteggi, lanciandosi versi lamentosi, giocano a sfiorarne le creste schiumose. Dominata dal poderoso castello in perpetuo restauro, quel castello che ne ha visti di assedi (l’ultimo e più formidabile da parte dell’esercito piemontese, tra il novembre 1860 e il febbraio 1861), l’antica città marinara mi appare semideserta nel suo nucleo medievale: qualche raro passante che subito scompare alla vista, finestre e portoni che rimangono chiusi, pur essendo le undici (ma no, un piccolo bar ha aperto i battenti, e qualche bancarella di verduraio si anima dei primi clienti presso la piazzetta del Leone!).
Sbarrato è il Duomo anch’esso in restauro, come pure l’ingresso del nuovo museo diocesano di Palazzo De Vio, che avrei volentieri visitato per rivedervi, tra l’altro, lo Stendardo di Lepanto. Passando invece accanto al complesso della Santissima Annunziata (orfanotrofio, ospedale, chiesa) non più difeso, sul versante del golfo, dai poderosi bastioni fatti saltare con la dinamite nel giugno 1960 per ricavare il moderno lungomare, trovo la chiesa aperta. Non è forse un invito a entrare? Deserta è l’unica maestosa navata, che ancora lascia indovinare sotto la veste di un barocco leggero, le linee gotiche originarie. La tinta predominante è un celeste pallido, luminoso, gradevole. E qui, al riparo del vento, mi ritrovo a casa. Qui, dove tutto parla di Maria, cui la chiesa è dedicata: dalle tele di Luca Giordano e di Sebastiano Conca, al polittico del Sabatini e del Criscuolo, alle statue devozionali che la raffigurano.
Ma l’Annunziata non ha rivelato ancora tutto di sé. Dalla sagrestia impreziosita da una splendida Annunciazione di Cristoforo Scacco, una porticina dà accesso al luogo più segreto, quasi cuore di questo tempio e, direi, dell’intera città: è la cosiddetta Grotta d’Oro, una cappella rinascimentale così chiamata dal ricchissimo soffitto ligneo tutto rivestito di sfolgorante oro zecchino. Sulle pareti le tavole rappresentanti episodi della vita di Gesù e della Vergine sono opera del Criscuolo, mentre l’Immacolata posta sull’altare tra i santi Rocco, Pietro, Paolo e Sebastiano è di Scipione Pulzone, artista locale di recente rivalutato e noto come “il Gaetano”. Ben s’intona all’oro profuso nella volta a cassettoni il biondo delle chiome della sua Vergine orante, il cui sguardo è rivolto al cielo.
Pregando davanti a questa immagine, papa Pio IX, esule a Gaeta dal novembre 1848 al 1850, fu ispirato a proclamare il dogma dell’Immacolata. Nei tristi e tumultuosi tempi che lo costrinsero a mettersi sotto la protezione dei Borbone, il pontefice volle forse additare come modello di purezza, di fortezza e di ogni altra virtù, nonché come fonte di speranza in ogni traversia umana, l’unica creatura che Dio volle preservata dal peccato originale perché desse alla luce il Verbo.
Gaeta, città di Maria: lo attestano le tante edicole sacre a lei dedicate in epoche diverse e sparse fin negli angoli più remoti del centro più antico. Siamo lontani dall’arte e dalla sontuosità della Grotta d’oro, ma anche nelle più umili e povere si ravvisa un segno di quella presenza materna, di quell’ amore di madre.