Una grande famiglia

Una nuova serie tivù ha indagato per la prima volta la storia di un nucleo familiare del Nord alle prese con la crisi della loro azienda. Pregi e difetti
Una grande famiglia

Vista da casa è piaciuta la nuova serie di Raiuno dal titolo "Una grande famiglia".  Successo di ascolti e di attenzione. Il telespettatore sin dalla prima delle sei puntate è stato agganciato dalla sospetta scomparsa di uno dei protagonisti, Alessandro Gasmann, precipitato con un aereo da turismo sul lago di Como. Stessa sorte toccata al rampollo dei Kennedy, John John, morto insieme alla moglie Carolyn Bessette e alla cognata su un aeroplano che lui stesso guidava, al largo delle coste di Martha’s Vineyard.

"Una grande famiglia" è la storia della famiglia Rengoni della Brianza, industriali del tessile, con 5 figli, alle prese  con la crisi economica, la mancanza di liquidità, la tirannia delle banche e il baratro del fallimento. Edoardo (Alessandro Gasmann) è il primogenito che ha preso in mano l’industria di famiglia.

Con la sua scomparsa emergono fatti misteriosi, come la scomparsa di 20 milioni di euro dai conti bancari, la scoperta di un amante, telefonate mute e misteriose con il figlio, la sua presunta presenza nel giardino della villa di famiglia a Inverigo. Tutto precipita ma i soldi scomparsi riappaiono, così come Edoardo, che si ripresenta con il figlio nella villa di famiglia quando la vita, per molti di loro, era già profondamente cambiata. «Siamo stati in pericolo – dice, forse lo saremo ancora».

Finale aperto che non chiarisce le molte inverosimiglianze della trama e apre alla realizzazione di una seconda serie.
Tra i molti interrogativi: perché Edoardo ha fatto fingere di morire, perché sono scomparsi i soldi e ricomparsi sull’orlo del tracollo definitivo. Che motivo c’era di sottoporre la famiglia a tutte queste sofferenze? Da chi è ritrovato il figlio di Edoardo quando era fuggito per cercare il papà nel lago di Como? A parte il pretesto e il gioco narrativo non si comprendono le ragioni.

Tra i pregi il saper mescolare dramma e mistero, il voler aderire alla vita e alla situazione economica italiana del Nord Italia, la complessità narrativa e strutturale della sceneggiatura, il ruolo positivo della famiglia e l’indubbio successo di pubblico che ha superato i sette milioni di telespettatori.

Tra i difetti la scopiazzatura della serie americana  "Brothers&Sisters" in cui non viene cambiato neanche il nome della mamma-chioccia protagonista: Nora (Stefania Sandrelli e Sally Field nella serie americana). Alcuni personaggi sono tratteggiati con rigidità psicologiche, senza chiaroscuri che li renderebbero più umani e reali. In più lo stereotipo del nipote gay in cui l’amore omosessuale viene presentato, senza soluzione di discontinuità, anche visiva, come equivalente all’amore eterosessuale. Nessuno mette in dubbio ogni libera scelta di vita come diritto esistenziale, ma far dire «non c’è differenza», appiattisce tutto secondo i più consueti canoni della filosofia del gender. Tale teoria, affermatasi all’inizio degli anni Settanta negli Stati Uniti, sostiene che mascolinità e femminilità sono costruzioni sociali indotte, dalle quali bisogna liberarsi per stabilire una nuova eguaglianza tra gli esseri umani. La differenza resta, anche con il bacio omosex in prima serata. E una fiction orienta gli stili di vita più di tante parole e discorsi. Raiuno dovrebbe almeno porsi la questione.
 
 

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