Una goccia racconta
Io avevo solo dimenticato di prendere una cosa prima di mettermi in viaggio; una cosa importantissima, a dire il vero, non so proprio come abbia potuto dimenticarmene, ma si sa, a volte nella fretta e nella foga di una nuova avventura ci si lancia senza stare lì a pensarci troppo (se no finisce che uno ci ripensa) e puff, anzi splash, ti ritrovi per terra, nell’atrio di un caseggiato. Lì per lì sono rimasta senza parole. Io che avevo sempre visto le cose dall’alto, da una nuvola, non immaginavo quanto fosse diversa la prospettiva da laggiù. Ma era quello che volevo, conoscere le cose dal basso. Così un giorno, attraverso un’infiltrazione nel tetto, mi sono lanciata. Cadendo ho avuto il tempo di osservare che la vita degli uomini è organizzata per piani; in ogni piano ci sono degli appartamenti, dietro le cui porte vivono gli uomini, che a volte s’incrociano per le scale o sul pianerottolo e si di cono buongiorno, come va?, ma non molto di più, perché sembrano avere fretta di andare o tornare nei loro appartamenti, sul loro piano. Boh, a me pare un po’ strano, avere tanto spazio ed andare a rinchiudersi ognuno nel suo cantuccio. Comunque. Forse sono io che non capisco, abituata ad ampiezze celeste, mi pare tutto così piatto qui sulla terra, ma è per questo che sono scesa, per conoscere gli uomini da vicino, non dall’alto, dall’alto non si conosce mai del tutto, si può osservare bene, questo sì, avere una visione di insieme, ma per conoscere gli uomini occorre scendere. Mi sto dilungando, abbiate pazienza, dicevo, ero lì sull’atrio, appena atterrata, dopo un fluido volo, a guardarmi intorno, che mi accorgo di aver dimenticato una cosa importante sul tetto. Santo cielo! Che faccio adesso? C’è poco da fare, devo tornare lassù. Il primo pensiero è stato di ripercorre all’inverso il tragitto dell’andata, mi sarei alzata lievemente ed in pochi secondi avrei raggiunto il tetto. Noi gocce possiamo fare questo ed altro, gli uomini non lo sanno, perché non ci hanno mai visto farlo. Gli uomini non sanno molte cose essenziali, inoltre sono timorosi e al quanto duri a capire; se qualcuno mi avesse visto risalire in quel modo avrebbe iniziato ad urlare, scatenando un finimondo. Così ho deciso di scegliere una via più lunga, ma discreta. Mi sono messa a risalire le scale di notte, quando gli uomini sono nei loro piani, negli appartamenti e se anche passano per le scale nell’oscurità non si accorgono di nulla. Mi metto in moto, tic, tic, di gradino in gradino e cosa succede? Uno dopo l’altro, gli inquilini si svegliano e restano desti dietro le loro porte, ascoltando e tremando, incapaci di capire cosa stia accadendo. La prima a sentirmi è stata una servetta del primo piano; la padrona, incredula e sgarbata, l’ha insultata, poi mi ha sentito anche lei. E la voce si è diffusa per tutto il condominio. Adesso, a bassa voce, gli inquilini dei piani alti studiano preoccupati il mio tragitto, misurano la velocità media per calcolare la notte in cui arriverò davanti alle loro porte, e quelli dei piani inferiori tirano un sospiro di sollievo, sentendo che mi allontano. Io proprio non li capisco, questi uomini, come se tutto girasse intorno a loro, come se fossero al centro dell’universo, insomma, un po’ di modestia non fa mica male. E poi, questo vizio di pensare sempre il peggio, di andare in pallone appena una cosa non va secondo le leggi della fisica. Basta una goccia che risale le scale per farli pensare alla morte, agli anni che passano, a certe colpe nascoste, a sogni e chimere perdute. Se sapessero che io non rappresento niente di tutto questo, forse tirerebbero un sospiro di sollievo. O magari s’indignerebbero ancora di più per il semplice fatto che mi sono permessa di violare la forza di gravità. Io sono solo una goccia d’acqua scesa sulla terra per conoscerla dal basso, che ora risale perché ha dimenticato una cosa importante. Questo è tutto. Niente metafore. Immaginate voi che sbadata che sono, avevo dimenticato di prendere un riflesso di cielo. Senza di esso sulla terra non si sopravvive a lungo.