Una Genova più bella saluta il Congresso eucaristico

L’arrivo del Santissimo Sacramento dal mare, sulla motovedetta che ha salvato tanto migranti. Le parole del cardinale Bagnasco e di monsignor Anselmi. La festa serale dei giovani e la messa conclusiva a piazzale Kennedy
Genova

La città partecipa a modo suo ai giorni del Congresso eucaristico. Si percepisce attraversando le sue strade e le sue piazze, qualcosa di indefinibile, diverso dagli altri giorni. Genova sembra più bella, più matura. Chi la vive tutti i giorni mi racconta di come questi giorni siano una benedizione per questa città. E ne è talmente convinto che me ne parla come di qualcosa di forte, tangibile, anche se impossibile da vedere, ma vero, nuovo.

 

Qualcosa che forse è una “presenza” più forte, che è, vuoi o non vuoi, contagiosa. Sì, Genova è più bella oggi, la guardo da bordo della nave bus che dal Porto antico effettua le corse verso Pegli e ritorna. I suoi palazzi, i campanili delle tante basiliche e chiese, le ciminiere purtroppo spente dalla crisi occupazionale. Le nuvole che nascondono il sole e cambiano il colore del mare e delle case. Poi il sole appare improvviso e dà ombre e colori forti.

 

Verso la metà del pomeriggio arriva al Porto antico la motovedetta 288 della Guardia Costiera, partita dal Molo Giano. A bordo della motovedetta, che in tre anni ha salvato 1.500 migranti nelle operazioni nel Mediterraneo e in particolare a largo di Lampedusa, c’è il Santissimo Sacramento, accompagnato dal vescovo di Chiavari Tanasini. L’eucarestia è accolta dalle note dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice, dal suono delle sirene e dagli spruzzi d’acqua. La motovedetta è circondata da 12 gozzi, sosta davanti all’Acquario, da dove inizia l’adorazione eucaristica. Un migliaio di persone sulla banchina pregano e meditano. Dopo l'adorazione, la processione eucaristica si dirige verso la cattedrale di San Lorenzo passando per la porta santa, con la cassa del santissimo portata a spalla da una delegazione di lavoratori genovesi.

 

«Adorare è recuperare la misura delle cose, quell’essenziale che conta davvero nel cammino della vita – sottolinea il cardinale Bagnasco accogliendo sul molo del Porto Antico l’arrivo del Santissimo Sacramento via mare –, adorare è riconoscere con gioia, fino alle lacrime il primato di Dio e, quindi, la verità di ciò che siamo, piccole creature, ma creature amate. Adorare è lasciarci guardare da Lui, che conforta e incoraggia, illumina e sostiene; Lui, che resta con noi sempre e che ci è così prossimo da farsi trovare a portata di cuore. L’adorazione eucaristica – continua – ci consegna uno ‘stare’ alla presenza di Colui che ci vuol bene e che ci conosce per nome. E questo basta a sentire che non siamo soli nelle tempeste, che siamo importanti per qualcuno, che siamo avvolti da un abbraccio d’amore. Questo basta a rendere buona e giusta la vita».

 

Monsignor Niccolò Anselmi, vescovo ausiliare di Genova, propone un percorso alla comunità dei fedeli: «Prima che essere un fatto personale, uscire è un fatto ecclesiale, l’evangelizzazione non ha bisogno di eroi solitari, ma di una relazione tra persone che possano testimoniare come si amano. Dunque, prima delle parole e accanto alle parole, ad indicare agli uomini il volto del Padre è una vita di amore reciproco, è la comunione. Se il contenuto dell’uscire è l’annuncio con la propria vita della misericordia di Dio che mai si stanca di perdonare, lo stile è quello indicato da Francesco. Il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte: queste le quattro piste che monsignor Anselmi riprende dall’Evangelii Gaudium per rilanciarle come attesa del mondo da una comunità credente che affonda la sua fede nel mistero dell’Incarnazione». Genova città di mare con la sua lanterna che veglia sul porto. L’eucarestia diventi per questa città, per l’Italia, una «lanterna che rischiara la notte e vede finalmente il porto verso il quale dirigere il suo andare».

 

Poi la sera la gioiosa festa con i giovani. Danzano cantano pregano. Ci sono tanti che vivacizzano e portano una nota tutta particolare con le loro testimonianze. Ma il Congresso Eucaristico ha il suo apice domenica mattina sul lungomare di Piazzale Kennedy con la messa conclusiva. Erano attesi 20 mila persone, ce ne sono un po’ meno. Cardinali e vescovi, chierici e suore. E laici. La piazza offre un’immagine variopinta di colori, di contrasti, di tonalità. Da qui il cardinale Bagnasco rivolge il mandato di questo congresso: alle famiglie, ai diseredati della vita, alle persone consacrate, alle claustrali, ai sacerdoti e diaconi. E infine «al nostro amato Paese, a quanti guardano a questo grande cenacolo con l’attesa di una parola particolare. Vorremmo dirvi che vi siamo sinceramente vicini, che ci state a cuore, che ci anima una piena disponibilità a incontrarvi; insieme con voi ci sentiamo pellegrini verso casa. Siamo Pastori di una Chiesa esperta in umanità: la nostra voce è discreta, ma ora – come una vela al largo, sostenuta dal vento dello Spirito – prende vigore e proclama: “O uomini che ci ascoltate: la nostra gioia è grande e si chiama Gesù!».

 

A sipario abbassato resta il ricordo di quattro giorni, dedicati a celebrare più intensamente l’Eucarestia. Bilanci è presto per farne certamente in ognuno dei delegati, dei genovesi, dei credenti rimane un momento particolare. Ma certamente da qui parte una domanda forte del popolo di Dio alla Chiesa istituzione. I fedeli forse ai grandi raduni, alle folle oceaniche, preferiscono sempre di più essere chiesa “ospedale da campo”, che abbandona i suoi ori e tesori, che preferisce percorrere i sentieri dell’umanità e chinarsi sulle piaghe degli uomini dei nostri giorni.

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