Una folla, un’idea forte, il futuro
Le folle sono pericolose. Lo diventano spesso, quando l’assembramento non è provocato dallo sport o dallo spettacolo, ma da un’idea. Allora le folle moltiplicano in maniera esponenziale l’intenzione del singolo, il proposito dell’uno o dell’altro, fino a farli travalicare dal luogo fisico dell’incontro per raggiungere in mille modi uomini e donne che ragionano in modo simile. Le rivoluzioni nascono così. È vero che nell’epoca digitale le mobilitazioni di massa concordate sulla Rete avvengono sì in un battibaleno, ma muoiono nello spazio della propria realizzazione. Ma Occupy Wall Street dura, e così Piazza Tahrir, e così le manifestazioni per la libertà in tanti Paesi dittatoriali.
Penso a tutto ciò partecipando al Genfest che si è tenuto a Budapest tra la fine d’agosto e l’inizio di settembre, 12 mila giovani di un centinaio di Paesi riuniti da un’idea, quella della fraternità universale. Così come si erano riuniti 40 anni prima, a Loppiano 7 mila giovani dei Focolari, e nel 1980 addirittura 40 mila allo stadio Flaminio di Roma. Un’idea quindi che perdura, che non muore e che anzi, nell’epoca della globalizzazione delle menti e dei cuori, pare trovare nuovi convinti sostenitori. 450 mila grazie alla Rete nella “tregiorni” ungherese.
Impressiona anche questa volta la folla, quando reagisce all’unisono ad una parola che colpisce nel segno – sofferenza, fedeltà, impegno, santità –, quando saltella a piè pari sul Ponte delle catene in un flashmob per la fraternità universale, a concretizzare plasticamente il titolo stesso del Genfest, Let’s bridge, un neologismo che vuol dire: «Vogliamo costruire ponti». Impressiona la folla soprattutto quando sa far silenzio al momento giusto e sulle parole giuste, quelle d’un malato, d’una mistica, d’una coppia che va controcorrente, d’una vita spesa per Dio e per l’umanità. Il sentire comune s’amplifica e si rafforza al punto che, tornati in patria, questi ragazzi e queste ragazze non potranno che diventare propagatori dell’idea del mondo unito.
Che vuol dire impegno personale che diventa anche collettivo: fedeli nel poco, nelle piccole cose, lo saranno anche nel molto, nelle grandi cose, quando parecchi di loro saranno classe dirigente nei loro Paesi. Seguendo coloro che nei decenni scorsi hanno partecipato all’uno o all’altro dei Genfest, e che ora hanno posti di responsabilità nella politica, nell’economia, nella comunicazione, nel diritto, dove portano avanti le mille implicazioni del loro impegno per il mondo unito. Il futuro è anche qui a Budapest, come raccontano nel Primo piano con le parole Maddalena Maltese e con le foto Domenico Salmaso, nostri inviati speciali (vedi “Le provocazioni del Genfest”).
Ci piace sottolineare il collegamento tra il Genfest di Budapest, appena conclusosi, e la terza edizione di LoppianoLab, che sta per aprirsi nelle colline toscane. La stessa idea, in fondo, è quella che il Gruppo editoriale Città Nuova, assieme al Polo Lionello Bonfanti dell’Economia di Comunione, l’Istituto universitario Sophia e la cittadella di Loppiano vogliono evidenziare: declinare la fraternità universale all’italiana, in un laboratorio che si occupa di politica, di economia, di scuola, di immigrazione, di comunicazione… Un progetto per l’Italia (vedi servizio di Paolo Loriga “LoppianoLab, giovani e lavoro”).