Una famiglia per Giovannino

Un neonato con una rara malattia genetica è stato abbandonato in ospedale a Torino dai genitori. Si prevedeva che non vivesse più di qualche giorno, invece, inaspettatamente, ha superato la fase critica. Tante le famiglie che vorrebbero adottarlo. Una riflessione
Una mano di un neonato stringe quella di un adulto

Ha avuto parecchia risonanza mediatica in questi giorni la storia di “Giovannino” – così è stato chiamato -, il bimbo nato ad agosto all’ospedale Sant’Anna di Torino e non riconosciuto dai genitori perché affetto da ittiosi arlecchinouna rara malattia genetica della pelle, che la rende delicatissima e continuamente esposta ad infezioni, tanto da lasciare generalmente un’aspettativa di vita di poche settimane. Il bimbo ha invece superato quella che i medici definiscono la fase più critica – ossia appunto i primi mesi – ed è tuttora ospitato nell’ospedale dove i genitori lo hanno lasciato. Il direttore del reparto di terapia intensiva neonatale, il dottor Daniele Farina, ha definito quella dei genitori una decisione che non può essere in alcun modo giudicata; ma ora Giovannino, che sembra essere un bimbo vispo, è pronto per lasciare l’ospedale.

Una bella notizia è il fatto che è partita una gara di solidarietà: Farina ha riferito di aver ricevuto decine di telefonate di famiglie che si offrono di adottarlo o di istituti che danno disponibilità a prendersene cura, come il Cottolengo. Ogni decisione in merito dovrà naturalmente passare dagli organi preposti; ma comunque la vicenda dimostra, a detta dei medici, il grande cuore degli italiani – per quanto i sanitari richiamino l’attenzione sulla grande responsabilità che il prendersi cura di un bambino così comporta.

Sicuramente la questione è molto delicata; e dire che non esistono risposte univoche non è cerchiobottismo o relativismo, ma la pura e semplice verità. Non c’è una risposta e non ci sono ricette pronte da dare a un genitore che si sente dire che un figlio, magari tanto voluto, e magari non ancora nato (se pensiamo alla diagnosi prenatale) è affetto da una grave malattia. Perché onestamente, in quei casi, tutti i pur giustissimi discorsi su quanto ogni vita sia preziosa e degna di essere vissuta non alleviano il dolore e lo sconforto. Anch’io, che pur mi sono “assunta il peso” di una figlia nata con una malattia genetica, non me la sento di giudicare chi invece non ce la fa; e allo stesso tempo non so se sarei pronta a fare la mamma di un bimbo con malattie più gravi – anzi, onestamente la cosa mi terrorizza.

Credo che l’unica cosa che davvero può aiutare sia i genitori che il bambino sia far sì che non siano soli. Non siano soli nella terribile decisione, come forse è stato per i genitori di Giovannino, di abbandonarlo; ma che sentano che ci sarà qualcuno pronto a prendersi cura del figlio, anche se loro non se la sono sentita. E se decidono di prendersi cura del bambino, non siano soli di fronte al fatto che questo è un compito oggettivamente più grande della singola coppia: non può essere assolto senza l’aiuto di medici, familiari, amici, educatori; o, più in senso lato, di una comunità che sostiene una famiglia con queste difficoltà – dal welfare, al semplice “dare il cambio” ai genitori nell’accudire il piccolo. Senza di questo, anche la bellissima gara di solidarietà che si è innescata rischierebbe di risolversi in un entusiasmo effimero; lasciando la famiglia che lo accoglierà con un’esperienza umana preziosa, ma gravata da difficoltà che la minerebbero pesantemente.

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