Una famiglia grande come il mondo

Anche i Castelli Romani possono essere un luogo interessante per fare incontri internazionali. Come nel caso della scuola di Famiglie Nuove con partecipanti da tutto il mondo
Moses

Ad entrare in sala, si aveva l'impressione di essere capitati alla seduta di un qualche organismo internazionale: un folto gruppo di africani da un lato, uno ancor più folto di asiatici dall'altro, senza tralasciare un buon numero di persone dai chiari tratti somatici precolombiani e una serie di – presumibilmente – europei che parlavano le lingue più svariate. In buona parte giovani, peraltro: sta a vedere che in politica si è finalmente lasciato spazio alle nuove generazioni? E invece no, era la scuola per famiglie organizzata dal Movimento Famiglie Nuove dei Focolari, dal 5 all'8 giugno scorsi a Castelgandolfo.

In questo «viaggio», come l'hanno definito le due «guide» Anna e Paolo Friso, è stato quindi chiaro fin da subito che, oltre agli interventi degli esperti – medici, psicologi, sessuologi – e alle testimonianze di famiglie che stanno vivendo le vicissitudini più disparate – da quelle «felici» a quelle in crisi -, ancor più peso avrebbe avuto il confronto tra mondi geograficamente e culturalmente diversi. Tanto che, in un certo senso, i relatori sono stati i partecipanti stessi, nei loro interventi e domande che hanno regolarmente sforato di gran lunga i tempi previsti, mandando nel panico relatori, traduttori, e personale della cucina che aspettava invano di poter servire il pranzo o la cena.

Così capitava di sentire una giovane africana chiedersi «come mai qui in Europa non si vedono quasi mai donne incinte o con diversi figli»: magari l'occasione per discutere sul fatto che il sistema sociale europeo non è come quello africano dove – come hanno spiegato i diretti interessati – è qualche altra famiglia della comunità a prendersi eventualmente cura e a prendersi eventualmente in casa i figli «problematici», vuoi per difficoltà economiche, vuoi perché arrivati «nel momento sbagliato». Oppure capitava di scoprire che sempre in Africa, essendo l'educazione sessuale considerata tabù, non sono i genitori ma i nonni ad occuparsene nei confronti dei nipoti: non oso immaginare la faccia di mia nonna se fossi andata a chiederle delucidazioni sulla vecchia storia della cicogna che non mi convinceva più del tutto, ma vabbè.

Oppure di ascoltare la storia di una coppia indonesiana che aveva vissuto l'ostilità delle rispettive famiglie al matrimonio perché lui era cristiano e lei musulmana; o quella del giovanotto malese che aveva pregato Dio che i genitori scegliessero come sposa – perché spesso va ancora così – una donna «non necessariamente bella, non necessariamente ricca, ma quella giusta per me: e così è stato». Ed era pure graziosa, quindi gli è andata bene anche su questo fronte.

Al di là dell'ironia, non è mancato il confronto su temi ben più delicati – come la fecondazione assistita, il controllo delle nascite e l'educazione dei figli – in cui le posizioni espresse erano anche molto diverse: ma sempre con l'assunto di non voler giudicare nessuno, come ripetuto più volte, e di ascoltare tutti senza alcun pregiudizio, senza voler nascondere opinioni «scomode» o vergognarsi di dire che alcune posizioni ufficiali tenute dalla Chiesa «stavano strette» o non erano capite. Per capire, appunto, non per scontrarsi.

I commenti finali dei partecipanti erano tutti una girandola di ringraziamenti, di «mi porterò  a casa tutto questo», e di «la vera scuola delle famiglie comincia da domani, al nostro ritorno». E indubbiamente ognuno è ripartito con un po' di bagaglio in più: un bagaglio da ogni parte del mondo.

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