Una famiglia globale

Il contributo dei giovani al summit dei leader religiosi, in un incontro di diverse prospettive generazionali.
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La giornata conclusiva del Summit è iniziata con una sessione assolutamente innovativa e provocante. I giovani hanno assunto il controllo delle dinamiche del convegno: una moderatrice capace e intraprendente ha guidato le operazioni per un’ora e mezzo. Una decina di studenti universitari, canadesi ma di diverse provenienze – Canada, Pakistan, India, Israele, Costarica – si sono alternati per presentare le riflessioni maturate nel corso di una cena-workshop svoltasi ieri sera all’interno della mensa della Winnipeg University.

 

Hanno tutti affrontato i vari argomenti discussi in questi giorni: il problema della povertà, del clima, il tema del disarmo e della pace. Dai loro interventi sono emerse proposte che hanno sfidato i presenti. In particolare quella della necessità di un’educazione e formazione multi religiosa e quella di corsi di etica nel business hanno colpito i delegati adulti presenti. Le reazioni sono state molteplici ed il dibattito serrato, coi giovani che tenevano testa ai loro interlocutori carichi di esperienza di vita. Sono emersi i problemi che l’idealismo giovanile potrebbe creare in una società come quella attuale. La parola di alcuni leader ha messo in guardia alla luce dei fallimenti in esprimenti già realizzati.

 

Nella sala si è creata una tensione positiva ed altamente costruttiva fra idealismo giovanile ed esperienza del vissuto, tipica degli adulti. Si è percepito chiaramente che le due dimensioni non sono assolutamente esclusive. È dalla capacità di coniugarle in modo positivo che potranno nascere alternative per il mondo di domani. D’altra parte, è emersa la coscienza dei giovani di dover prendere l’iniziativa, come ha sottolineato Kaur, una giovane studentessa sikh: «Come posso chiedere agli altri una soluzione ai problemi se non sono io cambiare?».

 

Il ruolo dei giovani nel Summit è stato fondamentale perché ha dato la profondità prospettica del futuro, considerata non a livello di idee, ma vista in persone concrete: un contributo importante ad un convegno che, come molti paventano, fa parte della schiera di quelli che rischiano di essere un torrente di parole inutili.

 

Quanto la sessione fra giovani ed adulti sia stata significativa e costruttiva lo dimostrano due commenti. Un musulmano, che presiede l’unione degli imam del Canada, ha auspicato che in un domani non troppo lontano fra questi giovani ci possano essere non solo dirigenti di azienda, ma soprattutto leader politici. «Siamo pronti a seguirli» ha dichiarato l’imam con la barba bianca, tradendo una sana fierezza. Gli ha fatto eco, in un certo senso, la confessione di un giovane ebreo che ha raccontato come la persona decisiva nella sua vita sia stata la nonna, che alla morte gli ha lasciato una collana. «Sappi sempre da dove vieni e dove vuoi arrivare», è la scritta incisa sul monile.

 

Una sintesi efficace che esprime assai bene il tentativo degli organizzatori di ingaggiare giovani ed adulti sullo stesso fronte del dialogo interreligioso come risposta ai problemi del mondo d’oggi, «villaggio globale– dice una giovane professionista ventisettenne – da vedere e vivere come vera famiglia».

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