Una famiglia ed una città

Chiara Lubich: la sua infanzia, l'ambiente in cui è cresciuta. Un inedito affresco della fondatrice dei Focolari da Lo spartito scritto in Cielo di Città Nuova, primo appuntamento della rubrica
Lo spartito scritto in Cielo

Una famiglia semplice, unita ed un'infanzia serena e piena di Gesù. Questo traspare dalle parole di Eli Folonari, intervistata da Michele Zanzucchi e Oreste Paliotti per il libro di Città Nuova Lo spartito scritto in Cielo al primo appuntamento della rubrica.


«Eli, parlaci della famiglia di Chiara
I Lubich formavano una famiglia molto unita, anche se erano assai diversi fra loro. La madre era molto cattolica, il padre socialista, Gino, il figlio maggiore, prima cattolico impegnato poi comunista idealista. Seguivano Silvia (Chiara), Liliana e Carla. Carla, la sorella minore, ricorda che quando si ritrovavano a tavola non facevano altro che discutere di politica.
Una parente ha ricostruito l’albero genealogico della famiglia Lubich: «Nell’anno 170° della nascita dell’avo trentino matteo macellaio: 1768-1938». Il bisnonno macellaio aveva attraversato con un gregge di capre le Alpi, per stabilirsi poi a Trento, dove ancora c’è una macelleria dei Lubich. Il nonno invece si chiamava Luigi, come il padre. E poi c’erano zio Silvio, e le zie Emma e Maria.
Il bisnonno Matteo proveniva dall’Ungheria, Paese che all’epoca faceva parte dell’Impero austro-ungarico, dove il cognome Lubich è diffuso. In Slovenia Ljubič è molto frequente e pure in Croazia. La città stessa di Lubiana (Ljubljana) ha la stessa radice, che significa “amore”. Chiara stessa una volta è andata a trovare certi parenti in Ungheria.
 
Come si sono conosciuti i genitori di Chiara?
È stato nella tipografia di Cesare Battisti[1] che dirigeva «Il Popolo», giornale socialista irredentista; redattore capo era nientemeno che Benito Mussolini! Luigi era proto e lavorava di giorno, Mussolini invece di notte: ho sentito raccontare che si alternavano per dormire nella stessa stanza, usando lo stesso letto. Luigia, invece, era compositrice. Tutte le mattine partecipava alla messa e lasciava poi il suo messalino bene in vista sulla macchina della composizione, quasi per sfida. Ma Cesare Battisti – ricordava – non le fece mai nessuna osservazione: era soddisfatto di come lavorava e rispettava le sue opinioni. Era una donna molto vivace, dotata di un’intelligenza brillante. Non a caso, era una Marinconz, un cognome di origini nobiliari spagnole. La madre di lei, quindi la nonna di Chiara, era una cuoca bravissima, molto ricercata negli hotel di Madonna di Campiglio. A proposito di vivacità, Luigia talvolta raccontava come da piccola, insieme ai compagni di scuola, si divertisse a nascondere nel cassetto dell’insegnante rospi e lucertole! E leggeva molto, specialmente romanzi gialli. Sarebbe diventata col tempo anche una fedele lettrice di «Città Nuova».
Luigia era vedova di un certo Nardelli, morto quasi subito dopo le nozze, tanto che venne soprannominata la “sposa vergine”. Di sette anni più anziana del secondo marito Luigi, non amava dire la sua età. Addirittura in casa non si festeggiavano i compleanni, abitudine che tuttora Carla ha mantenuto.
 
E il padre?
Dopo aver lasciato il lavoro in tipografia, Luigi col fratello Silvio si diede con successo al commercio dei vini in Trentino, esportandoli in Austria e Germania. L’azienda di cui erano soci era stata ereditata alla morte del nonno: aveva una cantina enorme, così mi ha riferito Carla.
Silvia è nata in una casa che si affaccia su piazza Santa Maria Maggiore, da dove poi i Lubich si sono trasferiti in piazza Garzetti, in un bell’appartamento che occupava tutto un piano, con un lungo balcone. Chiara raccontava che fino a quando aveva 10-11 anni in casa stavano bene economicamente. Poi hanno sperimentato una vera povertà, anche se il padre non voleva che l’indigenza pesasse sui figli. Era successo che, dopo l’avvento del fascismo, lo zio Silvio era diventato capo squadrista, mentre Luigi era antifascista convinto. Per via di tale contrasto politico, e forse per altri motivi, il padre aveva preferito interrompere il sodalizio, abbandonando l’azienda. Così, mentre il fratello rimaneva benestante, Luigi e la sua famiglia erano finiti in uno stato di grande povertà. Mi ha confidato una volta Gino che il padre aveva fatto i più svariati lavori precari senza essere mai assunto, perché privo della tessera fascista. «La nostra era miseria autentica – diceva –, ma la prendevamo con molta allegria». Su questo Chiara ha fatto solo qualche accenno, del tipo:

«Non ricordo mai che la mamma si sedesse a tavola a mangiare». La madre stessa ricordava: «Avevo così tanta voglia di un dolce che passando davanti a una pasticceria stavo davanti alla vetrina a mangiarmi con gli occhi tutte quelle paste». Una volta in cui non avevano proprio niente da offrire ai figli per cena, Luigi si era messo a raccontare qualcosa da ridere dalla stufa, sulla quale si era seduto; e così, ridendo e scherzando, era passata l’ora del pranzo…
Su di lui ho sentito un altro fatto: Gino e Chiara erano piccoli quando, vedendo che il padre non frequentava la chiesa, si erano messi in testa di portarcelo: "Papà – era soprattutto Gino a dirlo –, dobbiamo andare a confessarci: vieni anche tu?". Sono partiti tutti e tre assieme e, dopo loro due, si è confessato pure lui. Uscendo dal confessionale, piangeva di gioia. Da allora è andato sempre a messa».
 

 



[1] Cesare Battisti, trentino, è stato un patriota, giornalista, deputato socialista al parlamento asburgico. Irredentista italiano, è stato giustiziato dagli austriaci il 12 luglio 1916 nel castello del Buon Consiglio a Trento.

[2] È suor Carolina Maria Capella (1886-1964), nata e sepolta a Trento, della Congregazione delle suore di Carità delle sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, dette anche suore di Maria Bambina. Di lei Chiara conserverà sempre un grato ricordo.


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