Una doppia partita

Il campione di golf è tornato a vincere dopo il ritiro dall'attività agonistica per stare al fianco della moglie colpita da tumore.
Mickelson

Una vittoria. Un’esultanza. Un abbraccio. Messa così, nulla di particolare. Il mondo dello sport è pieno di sequenze del genere. Ma se proviamo a riavvolgere il nastro e a descrivere fatti e persone, comprendiamo che quanto successo domenica 11 aprile ad Augusta (Georgia, Stati Uniti) merita di essere raccontato. O almeno, lo merita più di altre vittorie, altre esultanze, altri abbracci. Così, sui campi dell’Augusta National, che ogni anno ospita uno dei quattro Major (i tornei di golf più importanti al mondo), è andata in scena una bella storia, di quelle che, spesso e volentieri, solo lo sport riesce a offrire.

 

Premessa: Phil Mickelson non è un santo. Semplicemente, è uno che ha ben presente quali siano le priorità della vita. E la vita, domenica, gli ha regalato una grandissima emozione. Ai vertici sin da ragazzo, grazie a quello swing mancino capace di offrirgli in dono un record (primo “non destrorso” ad aggiudicarsi, nel 1990, lo U.S. Amateur, uno dei tornei dilettantistici più prestigiosi al mondo) e un soprannome (“Lefty”), per anni il californiano di San Diego ha dovuto fare i conti con l’etichetta di eterno piazzato. «Il miglior golfista a non aver mai vinto un Major», si diceva di lui per via di quei sei podi conquistati tra il 1999 e il 2003, senza però mai riuscire a scalare il gradino più alto (un dato su tutti: cinque secondi posti allo U.S. Open). Poi, finalmente, il trionfo al Masters 2004, successo bissato due anni dopo aggiungendovi, nel mezzo, l’exploit al Pga Championship 2005. Tre Major in tre anni e la seconda posizione nel ranking mondiale: difficile pretendere di più.

 

Ma la vita fa in modo di mettere Phil nuovamente alla prova. E in maniera diversa, certamente più dura. Nessun bunker da evitare, nessun putt da piazzare, ma una malattia da sconfiggere. Il 20 maggio 2009, infatti, “Lefty” decide di abbandonare temporaneamente le competizioni per assistere la moglie Amy, alla quale è stato diagnosticato un cancro al seno. Per tutta risposta John Daly, collega di Phil nonché amico di famiglia, partecipa al Pga Championship indossando un paio di pantaloni rosa (il colore che simboleggia la lotta a questa terribile malattia). Ed ecco scatenarsi una “reazione a catena”, perché il sabato successivo, al Crowne Plaza Invitational, tutti i giocatori sfoggeranno un elemento rosa. Insomma, il mondo del golf si mobilita a sostegno dei Mickelson. Le cure ad Amy procedono bene, “Lefty” torna in campo, ma ben presto arriva un’altra brutta botta: anche alla madre Mary è stato diagnosticato un cancro al seno. Nuova pausa e nuovo ritorno sul green. Il pensiero, però, è da tutt’altra parte.

 

Si va avanti, tra tornei in giro per il mondo e visite di controllo, con due successi a fine 2009 (Atlanta e Shanghai) prima del Masters 2010. Contrassegnato da quel meraviglioso colpo, alla tredicesima buca del terzo giro, che di fatto lo proietta verso il trionfo: una pallina finita tra gli aghi di pino, uno spazio strettissimo per uscire dalla trappola, una magia per arrivare a un paio di metri dall’obiettivo. Poi, una camminata trionfale verso il successo, con Amy pronta ad abbracciarlo nonostante i medici le avessero consigliato di restare a casa. «È stato emozionantissimo – ammetterà Phil a fine giornata -. Non saprei dire che cosa ho provato nel festeggiare insieme questo momento. Non trovo le parole». E dire che, la sera precedente, “Lefty” aveva dovuto fare le ore piccole: la figlia si era fratturata una caviglia pattinando, e lui (alle 22) l’aveva portata in ospedale. Non certo il modo migliore per ricaricare le batterie in vista del giro finale di un Major.

Il messaggio di Mickelson, forte è chiaro, è arrivato nella settimana che vedeva il rientro alle competizioni di Tiger Woods. Che si tratti solo di un caso?

 

 

 

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