Una donna di nome Lear

Cosa succede quando ci si toglie la maschera e si esce dal proprio “personaggio” sociale e familiare? Quando per ritrovare la propria essenza si abbandonano i ruoli per i quali siamo riconosciuti? A interpretare il personaggio di Shakespeare è l’attrice Silvia Pasello nello spettacolo di Roberto Bacci
Un momento dello spettacolo

Entrando in sala, le troviamo impegnate a intrecciarsi vicendevolmente le lunghe chiome. Quelle tre sorelle unite e amorevole, sono le stesse che si separeranno: due per avidità, irragionevolezza e crudeltà verso il padre, la terza per troppa sincerità e amore, scatenando la deflagrante tempesta del cuore e della mente del sovrano.

 

La celebre tragedia “Re Lear”, nella drammaturgia di Stefano Geraci e Roberto Bacci che firma anche la regia, è al femminile. Sfoltito il testo originale di Shakespeare, eliminati alcuni personaggi secondari, e mutato il titolo in “Lear”. A interpretarlo è una donna.

 

Uno spiazzamento che aggiunge una diversa carica emotiva alla figura del monarca, detronizzato per sua leggerezza e scacciato da due figlie ingrate; e che determina una ulteriore prospettiva sulla condizione umana di quella che, fra le molte emblematiche battute, portatrici di metafore universali, ci è parsa la più emblematica: «La maturità è tutto». A dirla è un personaggio secondario dello sparuto seguito rimasto al vecchio re alla deriva.

 

Nel monarca-donna ritroviamo tutta l'essenza del personaggio, e del testo tutti i nuclei drammatici di senso. Per l'asciuttezza, l'essenzialità e la chiarezza della messinscena, si arricchisce la complessa tematica di quel contesto di morbosi amori familiari capaci di provocare effetti spietati. E c'è tutta la vulnerabilità della carne umana, la nuda essenza dell'uomo, lo smarrimento di senso, nel balletto dei sentimenti che gli attori incarnano indossando delle maschere neutre e togliendosele nel momento in cui acquistano la consistenza dei personaggi della storia. Sono, via via, servi di scena, testimoni attivi degli accadimenti, ombre tremule dei personaggi, ma anche spettatori coinvolti.

 

Tutto è immerso nella nuda scenografia costituita da 7 sipari di cartapesta dai cupi colori impastati, fatti scorrere continuamente a delineare in profondità e circoscrivere con diverse prospettive il luogo delle azioni: una metamorfosi che, evocando, apre e chiude sequenze di dialoghi intimi o di duelli, di irruzioni o di riflessioni. In questo evocativo perimetro mobile trovano forte eco le lucide demistificazioni del fool, la nudità fangosa del povero Tom ovvero Edmund, un canto celtico del Settecento, o l'esemplare notte astratta della tempesta resa dal particolare rumore dei sipari mossi dagli stessi attori nascosti.

 

Ma è la forte presenza dell'attrice Laura Pasello che non distinguiamo più se è uomo o donna, perché semplicemente essere umano, a incidere nella regressione della vecchiezza, con gesti misurati tra il terrore e lo spaesamento e certi momenti di follia resi quotidiani, che assumono una funzionalità naturale. Se all'inizio avanza portando sulle spalle il peso del suo regno da dividere alle 3 figlie – una mappa geografica che srotolerà a terra dando avvio alla sventurata spartizione che vedrà esclusa l'amata Cordelia -, nel finale la vedremo prostrata su quel campo di morte che è diventato l'intero palcoscenico con tutte le tele a terra sopra le quali camminerà, condannata a morire, Cordelia, mentre intona uno struggente canto ucraino.

 

A Firenze, Teatro della Pergola,  fino al 15 giugno. Lo spettacolo aprirà anche “Shakespeare Shaker”, la rassegna estiva, tra giugno e luglio, tra Firenze e Scandicci, che la Fondazione Teatro della Toscana dedica a Shakespeare nel 400° anniversario della sua morte.

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