Una domanda all’Europa sull’Isis
La politica dell'ISIS e l'attacco da esso portato contro le minoranze che vivono nel nord dell'Iraq hanno suscitato la reazione della comunità internazionale e anche della Chiesa. Il problema che si dibatte è: come "fermare" l'aggressore, chi deve fermarlo e con quali mezzi e modalità.
Ho ascoltato un'intervista a Enzo Bianchi, trasmessa nella rubrica "Frontiere dello spirito", andata in onda su Canale 5 domenica 26 ottobre. Anche Enzo Bianchi si è posto il suddetto problema, convenendo sulla necessità di una forza armata per fermare l'aggressore, ma fermandosi davanti al dilemma: con quali modalità (forze di terra o no?) e soprattutto ad opera di chi?.
Mi sorprende sinceramente il fatto che da tanti studiosi e commentatori non si dica una cosa che a me sembra fondamentale. Storicamente parlando è certo che per oltre un millennio lo scontro tra l'Islam e l'Europa, a quel tempo cristiana era un dato storico acquisito (basti pensare alla battaglia di Lepanto, o a quelle di Belgrado e di Vienna). Uno scontro che ora si trasferisce in maniera generica come contrapposizione tra l'Islam e Occidente. E' davvero sorprendente, per non dire strano, che non si riesca a comprendere che anche oggi il compito di "fermare" l'ISIS spetta all'Europa per vicina geografica, rapporti storici e quindi cosa c'entrano gli Stati Uniti? Ed è davvero sorprendente e strano che non si levi una voce in tale senso a livello dell'Unione Europea.
Mi chiedo se non è questa una circostanza favorevole perchè si abbia una politica estera comune; e che, per "fermare" l'aggressore, se l'Europa non possa e debba fare uno sforzo per mettere insieme una forza comune (le potenze europee ne sono più che dotate). Sono domande che mi pongo e che giro ai responsabili dell'Unione Europea (o, quanto meno, dei singoli Stati che la compongono).