Una divertente prigionia
Chi sostiene che Beckett sia noioso e museale dovrebbe essere reclutato a questo divertentissimo e intelligente Finale di partita di e con Franco Branciaroli, una versione fedele e allo stesso tempo innovativa e personale. Risultato arduo da ottenere, dato che le partiture teatrali dell’irlandese sono talmente definite e chiuse, compiutamente predisposte in ogni dettaglio, da rendere apparentemente impossibile una buona messinscena che sia qualcosa di diverso da una esecuzione. La disperata, straziante comicità di non poche situazioni e battute è resa da Branciaroli una costant dello spettacolo, attivando subito la complicità col pubblico. Egli ha caricato lievemente, ma decisamente, il potenziale ironico del testo, aggiungendo al suo parlare un accento francese che rimanda al celebre ispettore Clouseau. E l’emblematica frase della commedia Non c’è niente di più comico dell’infelicità diventa la chiave di una visione dolente e grottesca della fine del mondo. Che è anche fine di una partita a scacchi e fine di uno spettacolo con attori impegnati nel recitare l’ultimo copione, alle soglie del Nulla. Questa visione si consuma in una grigia stanza-scatola sospesa nel buio (di Margherita Palli) percorsa dalle preziose luci colorate sempre cangianti (di Gigi Saccomandi), dove vivono, scampati ad una catastrofe, il vecchio e arrogante Hamm, cieco e inamovibile sulla sua carrozzella, e il riottoso servo Clov, che è il suo complemento mobile costretto a un perenne deambulare. In un agonismo senza esclusione di colpi fatto di bisogni, suppliche e ordini da una parte; e di servilismo e ribellione insieme dall’altra, essi aspettano pazientemente, ma anche con crescente irritazione, di assistere all’ultimo atto di questa farsa della quale sono i protagonisti. Ulteriori superstiti e testimoni, insieme, sono pure i genitori di Hamm, rinchiusi dentro i due emblematici bidoni destinati ai relitti umani, e ricacciati continuamente giù in uno sforzo di liberarsi dalle loro moleste memorie. Attorno il deserto di un mondo dove non c’è più traccia di vita, come costata Clov, spinto dal suo padrone a guardare fuori dalla finestra con un cannocchiale per dare rassicuranti notizie sul nulla. Non c’è trama, né ci sono spiegazioni razionali; c’è la suggestione di condizioni umane, di prigionia e di attesa, dove si stempera il senso di una ricerca di sapere e di trovarsi che rinvia ad un mondo altro nel quale lo stesso Branciaroli ravvisa un residuo di speranza, una sorta di nostalgia del sacro. Di riferimenti biblici è d’altronde colmo il testo. E lui stesso ne asseconda i rimandi, disegnando nel fazzoletto bianco col quale si copre la testa una sorta di sindone. Prova superba, questa di Branciaroli, sia come regista che come attore, che però, a differenza di Hamm, il cui mostruoso grumo di egoismo e di tirannide è tale da renderlo odioso, risulta invece molto simpatico. Il giovane Tommaso Cardarelli è più che un’ottima spalla nel dare la battuta al partner, trasformandosi con espressività vocale e gestuale in autorevolissimo contraltare. Giuseppe Distefano Al Teatro Argentina di Roma e in tournée.