Una cultura della fiducia
Centroamerica, cioè Guatemala, Belize, Honduras, Salvador e Nicaragua. È per incontrare gli amici dei Focolari presenti in queste «terre di transizione», come scriveva Borges, che Maria Voce e Giancarlo Faletti – presidente e copresidente del movimento – si sono recati in Guatemala, dove circa 700 persone di ogni età, etnia e cultura si sono date appuntamento. Gente che vive sulla propria pelle le speranze e i problemi delle società mesoamericane. Ci sono il tassista salvadoregno e gli imprenditori honduregni, la famiglia di contadini maya guatemaltechi e il giovane nicaraguense.
Bellarmino, si chiama il tassista. Il suo taxi giallo ha vent'anni e, dice lui, 800 mila chilometri. I Focolari li ha conosciuti nel 1984: gli hanno permesso di superare dolori immensi come l'assassinio del figlio di 24 anni, l'abbandono del tetto coniugale da parte della moglie e il fallimento di un suo negozio. Grazie a un amico del movimento è riuscito a comprare l'auto sulla quale ora viaggiamo. Sul cruscotto fa bella mostra di sé un blocchetto di Palabra de vida: «Con i clienti spesso entriamo in conversazioni profonde e talvolta la leggiamo assieme».
Gregorio, invece, viene dal Nicaragua. Viaggiava assieme ad altri quattro amici per venire a Ciudad de Guatemala, in auto. Poco dopo il passaggio della frontiera guatemalteca sono stati sequestrati da una delle tante bande armate locali: minacce con le pistole, tutti a terra, nessun si muova, fuori i portafogli, via orologi, computer e telefonini. Gli hanno lasciato documenti e macchina: «Ho pensato che dovevo dare la vita per quelle persone che ci stavano legando le mani», commenta.
Ancora: Luis e Nadia sono una coppia di sposi di San Pedro Sula, in Honduras, la capitale industriale del Paese. Da un anno o poco più di fronte alla crisi economica che li ha privati del lavoro, hanno messo su un commercio di pneumatici usati. Se la cavano e contribuiscono alla vita economica del Paese: in Honduras c’è il problema delle cosiddette “zone libere”, cioè delle zone industriali vendute agli stranieri che vi costruiscono fabbriche senza controllo alcuno e senza altri costi che quelli per le maestranze impiegate: neanche un dollaro di tasse per lo Stato.
Nel borgo di Patzún, in Guatemala, abitano Fermín e Magdalena, contadini. Lui racconta della discriminazione di cui sono oggetto i maya katchiquel, della cui etnia fanno parte, esclusi per secoli da educazione e politica. Ora qualcosa si muove ma l’emarginazione permane. «La nostra agricoltura – continua Fermín – è semplice, basata sul mais e poco altro. Ma siamo strangolati dai grossisti, che ci impongono sempre prezzi da fame, senza alcun appoggio dal governo». Magdalena, moglie di Fermín e madre di quattro figli, se ne esce con una frase stucchevole: «Sì, lo so, qui c’è stato e c’è ancora molto razzismo, e i ladinos, i meticci, considerano noi indigeni come inferiori. Ma Gesù ci ha indicato l’amore per tutti. Quindi debbo amare ogni ladino».
Nel corso di alcuni incontri, Maria Voce e Giancarlo Faletti affrontano con i presenti le potenzialità e le criticità della regione: insicurezza, corruzione, integrazione tra culture, crisi della famiglia (vedi anche il reportage alle pp. 46-50).
Una donna racconta delle sue difficoltà al lavoro sulla corruzione. Chiede a Maria Voce se, secondo lei, debba lasciare quel lavoro. La risposta è sofferta ma chiara: «Se tu lasci quel posto, chi lo occuperà? Qualcuno che non avrà la tua stessa decisione contro la corruzione. Ci saranno momenti difficili, anche sconfitte, ma tu non mollare, perché se non lo facciamo noi, chi lo farà?».
Un’altra domanda riguarda il multiculturalismo e la compatibilità di certe tradizioni con il cristianesimo: «Guardando le vostre espressioni artistiche e culturali – rispondono i due ospiti –, ho l’impressione che tali culture abbiano una forte componente religiosa, con un’umanità bella e ricca. Penso che queste tradizioni quindi possano essere vivificate, possano essere riempite dello spirito dell’unità, perché possano esprimersi e dar frutto ancor oggi».
A proposito della crisi della famiglia, viene auspicata dalla presidente una sempre più attenta formazione umana dei giovani, per preparare le nuove coppie a una vita sana. E sulla sicurezza, invita i presenti a guardarsi con fiducia e non con sospetto: «La paura dell’altro è la sconfitta dell’amore», dice Maria Voce.
Bellarmino, Gregorio, Nadia… Nell’ascolto e nella condivisione di sentimenti, domande e prospettive, emerge la testimonianza altamente comunitaria delle diverse rappresentanze presenti a Ciudad de Guatemala. Perché la comunità, che fonde età, etnie e culture, è il modo stesso di esistere dei cristiani centroamericani, naturalmente portati a valorizzare il contributo di ognuno, anche dei più “piccoli”.